Tra teatro e cultura napoletana, l’intervista a Rino Margiasso

Rino Margiasso porta il suo Ma tu… La conosci Napoli? sul palco del Teatro Petrolini di Roma (17- 19 febbraio) e si racconta a Cinecorriere: la sua passione per il teatro, il suo infinito amore per Napoli, la sua ricerca di una Napoli fuor da cartolina. Attore e musicista, nel suo spettacolo parte dal racconto delle quattro porte storiche di Napoli – Nolana, Capuana, San Gennaro ed Alba – per riscoprire, fra aneddoti e la grande vulgata, fra canzoni leggende e un documentato racconto storico, l’anima di una città che sa cantare oltre le sue immortali melodie e che nasconde fra le liriche dei suoi canti e delle sue fabule le vicende delle persone e di un popolo pieno di ironia, cultura e profondità. Una Napoli fuor da banalità riscoperta nelle sue pieghe più profonde e restituità al di là delle innumerevoli banalità che ne hanno distorta l’immagine.

 

Teatro e cultura napoletana sono un’abbinata vincente da sempre possiamo dire: tornare a teatro per raccontare Napoli è un po’ come approdare a La Scala di Milano per raccontare la storia della Lirica.

Il Teatro ha tante sfaccettature e generi dal Classico alla Prosa, dal Comico al Musicale. Quello del Teatro Napoletano, possiamo dire che sotto certi aspetti ha tutte queste caratteristiche. Racchiude in sé la stessa cultura di un popolo, con le sue tradizioni, il suo essere; un caposaldo di cui non tutti ne conoscono le origini ed è una delle più antiche e conosciute tradizioni artistiche della città di Napoli, che ha contribuito allo sviluppo del teatro italiano. Per raccontare del Teatro Napoletano si deve necessariamente partire dalle origini, quello pre-Novecento fu sostanzialmente legato alla maschera di Pulcinella. Il personaggio nacque alla fine del Cinquecento dall’attore Silvio Fiorillo, e nel seicento fu portato in scena dall’attore Andrea Calcese. Fino a toccare il Teatro di Eduardo De Filippo che con la sua drammaturgia ha dato una svolta a quel Teatro antico trasferendo sulla scena una Napoletanità mai messa in luce prima. Per dirla breve come Eduardo “io scrivo ‘e fatte comiche d”a ggente.. ”

‘E fatte d’’a gente che hanno spesso come perno principale la famiglia, con tutte le sue sfaccettature, di riflessione, di impressioni, di illusioni che vengono sfatate dalla realtà cruda ed amara della vita (vedi Natale in casa Cupiello) o di famiglie che non rispecchiano totalmente e conformemente lo schema che tutti hanno in mente ma che con dolore e sofferenza si cerca di ricomporre (vedi Filumena Marturano nel cercare di dare un’identità ben precisa con un cognome ai suoi figli).

Dalla vita reale del dolore e della fame portata sul Palcoscenico da Viviani anche con amara descrizione di violenza sulle donne che subivano e comunque nel dolore amavano (vedi Bambenella ‘e copp’è quartieri) o l’ultimo scugnizz,o dove si cerca con ogni sforzo di mettere la testa a posto e tirare su Famiglia.

Mettere assieme il Teatro e la Cultura di un Popolo è sicuramente un’accoppiata vincente e convincente.

 

Un viaggio alla riscoperta di questa città e di questa cultura: ci racconti la genesi di questo spettacolo?

Questo spettacolo è un vero e proprio viaggio nelle strade della città ed attraverso il suo popolo; è come camminare nei vicoli e scorgere non solo l’architettura dei palazzi storici, ma anche scoprire nelle pieghe della cultura di un popolo le sue tradizioni, i suoi pregi e difetti; come scriveva un cronista dell’800 “chi vo conoscere la Plebe napoletana veramente in tutte le sue abitudini, tra vizi e virtù, venga alla Porta Capuana”.

Questo spettacolo nasce come atto d’amore verso la città ed al tempo stesso dal forte desiderio di farla conoscere non solo ai napoletani, ma anche ai non appartenenti a questa città, in tutte le sue pieghe, attraverso racconti, leggende e storie di canzoni e di fatti realmente accaduti; fatti che si distaccano totalmente dall’immagine di cartoline e che invece rispecchiano un popolo che ha avuto a che fare con molte dominazioni, dai Francesi agli Spagnoli. Se in parte ne ha subito l’influenza, dall’altra ne ha mantenuto la sua identità, la sua cultura e le sue tradizioni centenarie. Non a caso sono stati scelti brani e storie legate anche alle porte storiche della città: Porta San Gennaro, Porta Nolana, Port’Alba e Porta Capuana.

Un viaggio nei vicoli dove ci si può sbattere metaforicamente nei panni stesi ed alzandoli per continuare il viaggio e vedere che, oltre le lenzuola, c’è sempre qualcosa di nuovo e di diverso, una sorpresa che ti coinvolge e ti sconvolge.     

 

La napoletanità e il cinema: quanto ha contribuito secondo te la napoletanità e lo strumento del cinema alla conoscenza di questa cultura?

Molto con i suoi interpreti, da Eduardo a Totò. Proprio Totò ha senz’altro incarnato in sé e portato avanti una maschera che ha tutte le caratteristiche di questo concetto. Al contempo ha superato ed è andato oltre la maschera per eccellenza, quella di Pulcinella, rendendo la Napoletanità sempre attuale nei suoi modi di rispondere, parlare e muoversi nella vita quotidiana, dando voce ad una creatività senza una fine ma con un fine: quella di vivere e non più sopravvivere. Interprete come De Sica, che pur non essendo nato a Napoli, ha interiorizzato i costumi ed il fare di un popolo (vedi Pane amore e … con la Loren). Lo stesso, padre del neorealismo, mette in luce – sia come interprete che come regista – una Napoletanità non fine a se stessa ma semplice, intelligente e pronta, non certo per fregare il prossimo, ma per affermare un popolo spesso degradato e tenuto in disparte, quasi come se non appartenesse ad una sola Nazione.