Cento anni fa, nel cuore della Napoli vera, nei vicoli in cui avevano risuonato i passi, le grida e gli sberleffi del Principe de Curtis, nasceva un musicista che avrebbe fortemente influenzato il Novecento della città che egli avrebbe amato lungo tutta una vita segnata da successi artistici e didattici e segnata dalle tragiche vicende del cosiddetto «secolo breve» che l’artista e l’uomo non vollero ignorare e nemmeno eludere.

Quel neonato sulla cui culla nel 1922 pendeva e oscillava al ritmo delle ninne nanne una minuscola chitarra era Eduardo Caliendo. Da pochi giorni l’Italia si era condannata al più terribile ventennio della sua storia, ma proprio alla sconfitta delle dittature avrebbe contribuito un ventenne Eduardo, socialista e libertario, insieme con il pianista Sergio Fiorentino, di cui talvolta prendeva il posto per indisponibilità dello strumento, e di un tenace ebreo dalla voce profonda e graffiante, Arnoldo Foà.

I tre, durante la Seconda guerra mondiale, avrebbero dato vita a programmi musicali di Radio Londra, trasmessi da postazioni clandestine, sempre nascoste e sempre diverse, per sfuggire ai militari tedeschi di occupazione.

«Una maledetta sera un tedesco mi sequestrò la chitarra, che poi era una Hermann Hauser, tedesca come quello…»

«Edua’, e statte zitto, ca t’è juta bona, ca chillo è rimasto cu ‘a chitarra mano e tu te ne sì fujuto…».

Dialogava Eduardo con l’amata consorte Enza in un martedì di giugno del 1970 nella casa di Via Aniello Falcone che il Maestro aveva eletto a tempio pulsante di musica e di napoletanità e nel quale non lesinò maledizioni anche agli anglo-americani che pure attentarono alla nuova chitarra che Eduardo suonava nei locali di una Napoli liberatasi nelle Quattro Giornate divampate a pochi passi dall’elegante e panoramica via vomerese. Quell’appartamento borghese del Maestro ogni dicembre veniva stravolto dai preparativi del «presebbio», un vero rito cui Caliendo invitava amici e allievi a essere partecipi dell’allestimento in progress.

E così, tra uno studio di Carulli, uno di Giuliani, un Preludio di Villa-Lobos e una Partita di Bach, il Maestro mostrava i progressi del suo artistico presepe, non senza rivelare la preoccupazione, scaramantica, che esso non fosse al meglio delle aspettative progettuali nella Notte di Natale, per ospitare la posa del Bambinello.

Anni straordinari, quelli, all’ insaputa di chi li divorava pretendendo che ogni oggi fosse già un domani, all’alba di un decennio che seguiva un già mitizzato ’68 ! In quel tempo a Via Aniello Falcone 72 nasceva una nuova generazione di musicisti tra sperimentazioni e rigore classico, recupero del passato e il nascente «Napule’s Power», movimento fondato da Renato Marengo.

Tra quelle mura era in gestazione la musica che avrebbe portato Napoli in cima al mondo con i discepoli di Caliendo, Edoardo ed Eugenio Bennato, Patrizio Trampetti, Fausta Vetere, Corrado Sfogli, Mauro Di Domenico, Mario Fragnito, Lucio Matarazzo e tanti altri. Si tratta di artisti formatisi nella scienza musicale, nella tecnica strumentale e soprattutto nell’amore per la libertà, con la consapevolezza che la musica avesse un ruolo chiave nel dare voce e forza ad artisti e popoli impegnati per la conquista della libertà, come testimoniava il forte legame di Eduardo con l’indimenticato Alirio Diaz, immenso chitarrista venezuelano.

Alirio nel 1994 volle suonare, in una memorabile serata al Teatro Mercadante in memoria del maestro napoletano scomparso.

C’erano tutti quella sera in cui si ritrovarono nel ricordo di Caliendo, tanti amici che i destini avevano condotto lontano, tanti altri cui la commozione fece scoprire che l’amicizia non si era mai affievolita e tanto meno infranta.

C’era chi scrive, che in quei magici anni ’70 aveva in minima parte contribuito insieme con i coetanei Roberto D’Aria e Giorgio Magliulo, a regalare nel 1970 al Maestro, e in fondo alla città di Napoli, la soddisfazione di tre primi premi, da solisti e in formazione da camera, al Concorso Chitarristico Internazionale di Recanati.