(di Antonella Putignano) “La classe operaia va in paradiso”. Questo è il concetto che esprime un sacerdote cattolico, in una scena di Belfast, l’ultimo film di  Kenneth Branagh, durante una messa,  ponendo, nella mente e nel cuore, di Buddy – il bambino protagonista del film, figlio di genitori protestanti – una serie di interrogativi.

Il film si apre con l’attacco dei lealisti alle case e alle chiese dei cattolici: è il 1969, l’inizio dei cosiddetti Troubles irlandesi. Il conflitto che porterà l’Irlanda a vivere la tensione e la guerriglia urbana per circa trent’anni.  Non a caso, la pellicola prima di diventare in bianco e nero, regala allo spettatore una breve panoramica della Belfast di oggi; con i segni indelebili di una vera e propria “Resistenza” armata degli abitanti. In un  murale della città, la faccia di Bobby Sands, il giovane rivoluzionario dell’Ira morto nella prigione Maze, “il labirinto”, a Long Kesh.  Ma sarà negli anni ’70 che la tensione nordirlandese si trasformerà in una vera tragedia. Nel 1972,  la domenica di sangue, la bloody Sunday di Derry, riportò un bilancio di 14 manifestanti per i diritti civili morti, oltre ai feriti, per mano dell’esercito britannico.

Kenneth Branagh – attore, regista e sceneggiatore di origine irlandese – in questa dedica per Belfast, rivive la sua infanzia tra le strade dove ha vissuto prima di andare in Inghilterra. Una città “ghetto” fatta di codici segreti, paura, coprifuoco.

 

Ma lo sguardo di Buddy, nel film, si rivolge al cielo, quasi scavalcando la tensione, e la stretta contingenza, grazie all’entusiasmo per la vita, al gioco. La tensione popolare di Belfast viaggia, parallelamente, con la quotidianità di un ragazzino e della sua famiglia: tra le frasi amorevoli dei nonni, il sorriso dolce e timido della ragazzina bionda che ama. E la scoperta, non casuale, dell’incanto del cinematografo.  Sono pochi i personaggi del film ma tutti fondamentali, e perfettamente delineati. Come a sottolineare la volontà del regista di raccontarci qualcosa sul tempo e sulla memoria: i ricordi si selezionano. E così succede con le persone che incontriamo nella vita. Il Branagh adulto si è stretto al cuore le cose più importanti della Belfast di quegli anni. Per restituire alla gente che ha conosciuto, frequentato, da vicino, una carezza per riconciliarsi con una storia dolorosa.

Raccontando di quella strana condizione di semi-normalità dentro le case. Mentre fuori, per strada, il clima si infuocava: tra minacce, intimidazioni, barricate. Un cast di attori superlativi diretti da un gran Maestro d’arte. E una bella colonna sonora in cui spicca Down to Joy, la canzone di Van Morrison – rocker nativo di Belfast – candidata all’Oscar. Il cinema da guardare in sala, per godere di un grande racconto .

di Antonella Putignano