(di Giorgio Cavagnaro) Un villaggio del lontano West battuto dal sole, una comunità di uomini codardi. Due donne meravigliose, appassionate e intrepide ognuna a modo suo. Un bandito feroce e assetato di vendetta. Un eroe. Una ferrovia. Un orologio che scandisce in tempo reale, implacabile e inconsapevole, i minuti che restano prima del dramma. Una canzone epica, indimenticabile.

Questi gli elementi che Fred Zinnemann, ebreo austriaco nato in Polonia, diventato americano e regista per seguire una passione travolgente, aveva a disposizione. Li ha trasformati, nel 1952, nel western perfetto, vincendo quattro Oscar. Perché High Noon (da noi Mezzogiorno di fuoco) questo è. Un meccanismo di sentimenti semplici e forti, squadernati senza ipocrisie da attori destinati a rimanere nella storia del cinema come archetipi inamovibili, quasi platonici. Non c’è eroe più eroe di Will Kane (Gary Cooper), non c’è sposa più bella, sgomenta e intrepida della quacchera Amy Fowler (Grace Kelly), non c’è amante più sofferente e risoluta di Helen Ramirez (Katy Jurado). Il ceffo butterato del bandito Frank Miller (Ian McDonald), l’anima tormentata del vicesceriffo Pell (Lloyd Bridges) e, uno per uno, la compagnia dei comprimari, tutti da dieci e lode.

Alla fine lo sceriffo Kane, smessi i panni polverosi dell’eroe e restituita la stella a un paese che non lo merita, sale con la fedele moglie sul carro a cavalli, verso una presumibile, tranquilla vita da marito integerrimo. Siamo contenti per lui, ovvio. Ma non è l’unico piccolo dubbio che ci lascia questo formidabile capolavoro?