(di Giulia Anzani Ciliberti) Don’t Look Up, il nuovo lavoro di Adam McKay – regista de La grande scommessa, film per il quale ha vinto l’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale – ha fatto molto parlare di sé nei mesi precedenti al suo debutto, prima nelle sale, poi su Netflix. Ironico e attuale, assorbe lo spettatore dall’inizio alla fine, trasportandolo con leggerezza in un mondo alle prese con accadimenti distopici. Parte del merito di tanto clamore, va sicuramente al super cast che vede come protagonisti Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, affiancati da nomi come Meryl Streep, Jonah Hill, Cate Blanchett e Timothée Chalamet.

A contribuire all’attesa generatasi intorno al film, è stata sicuramente la trama accattivante: una dottoranda in astronomia, Kate Dibiasky (Lawrence) nota la presenza di una cometa mai identificata fino a quel momento. Il suo docente, il dottor Randall Mindy (DiCaprio), capisce subito che quel corpo celeste si schianterà contro la Terra nel giro di sei mesi, distruggendo completamente qualsiasi forma di vita presente sul pianeta. La notizia è catastrofica e non si può restare con le mani in mano. I protagonisti riescono a ottenere l’attenzione del dottor Ogelthorpe (Rob Morgan), capo dell’ente di difesa planetaria e della NASA. Alla Casa Bianca, la Presidente degli Stati Uniti (Streep) e il Capo di Gabinetto (Hill) non danno il giusto peso alla vicenda, essendo troppo occupati con le elezioni di metà mandato. I due protagonisti, assieme al dottor Ogelthorpe, cercheranno allora di avere l’opinione pubblica dalla loro parte attraverso i media mainstream. Dalle loro apparizioni televisive, il dottor Mindy ricaverà una svolta personale, mentre la Dibiasky otterrà solo alcuni meme dopo uno scatto d’ira in diretta. Farsi ascoltare, per i due scienziati è, in sostanza, quasi impossibile: il mondo è più interessato ai gossip sulla vita della popstar di turno, Riley Bina (Ariana Grande), che a ciò che dicono gli esperti. Tutto quello che succede, su internet si riduce a un hashtag. Compresa la fine del mondo imminente.

Don’t Look Up racconta una realtà che non si fa fatica a riconoscere in molti episodi della nostra quotidianità, soprattutto da due anni a questa parte: la voce degli scienziati che è costantemente sovrastata dalla politica urlata e dalle chiacchiere da bar, e snobbata in favore di altri problemi, sicuramente più futili ma capaci di catturare maggiormente l’attenzione, di fare audience, views e like. Nei toni grotteschi della pellicola si potrebbero leggere dei sottili riferimenti al negazionismo attuale, ma si tratta di «un’allegoria sulla crisi ambientale», spiega il regista, che aggiunge: «L’ho scritto prima della pandemia, ma, certo, visto adesso, sembra ancora più attuale». Di attuale, c’è anche l’abitudine di sottrarsi alle responsabilità e adagiarsi in una comfort zone, sottovalutando i problemi reali, quali essi siano: il surriscaldamento globale, un asteroide in corsa contro la Terra o il flagello di una pandemia. Anche il titolo stesso del film, Don’t Look Up (letteralmente Non guardate in alto) ricorda un invito a chiudere gli occhi davanti a ciò che ci capita intorno, atteggiamento estremamente diffuso. Troppo spesso non si riesce ad avere contezza dell’enormità degli avvenimenti fin quando non se ne ha un’esperienza diretta.
Questo semplice ma complesso lavoro cinematografico va oltre il classico intrattenimento. Con la sua scrittura raffinata e ironica lascia, alla fine della visione, pieni di nuove consapevolezze e con un carico di riflessioni sul mondo attuale e le sue problematiche in un momento di emergenza.