(di Silvia Gambirasi) Quello che unisce due fratelli è un legame viscerale, ma al contempo soggetto come pochi a incrinarsi, specie se di mezzo c’è l’affetto controverso – o mancato – di un genitore. Come nel caso di Mio fratello, mia sorella, il film diretto da Roberto Capucci e prodotto da Netflix, che lo propone dall’8 ottobre in streaming, e Mediaset, con Alessandro Preziosi e Claudia Pandolfi nei panni dei consanguinei in questione.
Nik e Tesla, questi i nomi dei rispettivi personaggi, si rivedono dopo vent’anni in occasione del funerale del loro padre che, prima di morire, ha combinato loro un bello scherzetto: alla lettura del testamento, l’avvocato li informa di un singolare patto successorio, in base al quale sono costretti a convivere per un anno sotto lo stesso tetto nella casa di famiglia. A complicare la situazione ci si mette il fatto che nell’abitazione già ci vive Tesla con i suoi figli, Sebastiano, violoncellista di talento affetto da schizofrenia, e Carolina, adolescente irrequieta con un rapporto conflittuale con la madre. Tesla, che ha dedicato tutta la sua vita ai ragazzi e in particolare a Sebastiano, va su tutte le furie all’idea di dover accettare questa convivenza, ma è costretta a ingoiare il rospo per non perdere tutto. D’altra parte Nik, vagabondo appassionato di mare con una inguaribile allergia per i legami e le responsabilità, non intende fare un passo indietro. Senonché, al di là degli inevitabili scontri e battibecchi, tra Nik e suo nipote Sebastiano si stabilisce un profondo legame che Tesla non potrà ignorare a lungo. E chissà che questo tsunami familiare non finisca per aiutare il ragazzo ad affrontare le sue allucinazioni, tra cui quella di voler andare a vivere, un giorno o l’altro, su Marte. Di sicuro una serie di eventi costringeranno i personaggi a confrontarsi con i loro fantasmi e a trovare una sia pur precaria forma di equilibrio.
Ambientato in una Roma del centro storico, affascinante, struggente e dolente, il film è la metafora di un difficile viaggio verso il perdono e l’accettazione di se stessi, non senza prima aver metabolizzato i legami affettivi e familiari. Convincenti e credibili, sia Preziosi che Pandolfi, danno vita a un duello recitativo e affettivo di grande impatto. Per colonna sonora, musica classica a tutto spiano, godibile e particolarmente adatta alle note dolenti del racconto.