Esce il quinto album per i Final Step, band di musica ‘fusion’, dove, oltre alla musica, anche le nazionalità si fondono; troviamo infatti il frontman svizzero, mentre il resto della band è italiana.
Il disco si intitola Disconnections ed è ispirato al grande John Scofield. Un viaggio simbolico lungo il proprio percorso di vita; un viaggio coinvolgente e familiare, che attinge la sua ispirazione dalle esperienze vissute dal suo autore, Matteo Finali.
Al suo fianco: Mirko Roccato al sassofono, Alessandro Ponti all’organo, Hammond alle tastiere, Federico Barluzzi al basso e Dario Milan alla batteria.
Hanno dato vita ad un album che ci travolge di energia e che risulta molto ben suonato e coinvolgente, già dal primo ascolto. Una magia che fonde la poesia vibrante e più classica del jazz con il brio del funk.
Il titolo, Disconnections, è palesemente riferito al lungo periodo buio portato dalla pandemia, che ha privato tutto il mondo delle sue libertà e che ha cambiato le nostre abitudini, dov’eravamo per l’appunto persi, morbosamente connessi con il mondo ma forse disconnessi da noi stessi: è arrivato il momento forse di riprenderci e che cosa c’è di meglio se non sconnettersi finalmente e affondare le orecchie nella musica?
Il disco è solo strumentale e si dipana lungo brani come Sunday Morning Rev, o Prickly Pear Jam, con il suo “groove” trascinante e coinvolgente, che ci scuote dentro, con un colpo allo stomaco, per ricordarci di non disconnettersi dalla propria anima, ma semmai dall’atarassico mondo in rete. Dove si è ‘connessi’ solo per finta.
Gli arpeggi di chitarra acustica di Interlude ci accompagnano in questo inno alla vita vera, al ritrovamento di noi stessi e della nostra libertà. La libertà di godersi una serata a un concerto dal vivo. Vivo, come tutti noi dovremmo essere.