(di Antonella Putignano) “I silenzi hanno un suono, anche in musica. Non esiste l’ultima nota, è un dato di fatto. Perché l’ultima nota che suona uno strumento è la nota che inizia l’altro”. Ezio Bosso sapeva dire cose incredibilmente complesse in maniera semplice, con un linguaggio carico di immagini, di poesia, di naturale dolcezza; e quello che raccontava era lo specchio fedele del suo modo di comporre, dirigere, ascoltare e vivere la musica, interamente, con il cuore, con il corpo. Un’attitudine alla vita, il suo modo di sentirsi addosso l’esistenza. Fino alla sua scomparsa, poco più di un anno fa.

A Venezia è stato appena presentato un preziosissimo documentario, Le cose che restano, per la regia di Giorgio Verdelli: un film che ripercorre la straordinaria carriera di un artista unico, un musicista poliedrico, un compositore originale e illuminato. Un uomo capace di emozionare e coinvolgere – con la sua arte e con il suo carisma-  il pubblico più diverso. Nel lavoro di Verdelli è lo stesso Bosso a raccontarsi, a svelarsi, grazie a diverse interviste raccolte nel tempo: così da far scorrere il “quadro d’artista” in maniera fluida, come un crescendo musicale emozionate, vibrante.  La pellicola ripercorre le tappe di vita del musicista: dal capitolo familiare di Torino – la città di nascita del compositore – ai primi successi nei teatri più prestigiosi, al rapporto con la televisione. Il grande pubblico, infatti, ha conosciuto Ezio Bosso dopo un’esibizione trascinante e intensa durante l’edizione del 2016 di Sanremo. Tra le collaborazioni fortunate della sua camaleontica carriera ha trovato spazio anche il cinema, con le colonne sonore, come quella realizzata per l’amico e regista Gabriele Salvatores per il film Il ragazzo invisibile e registrata negli studios di Abbey Road a Londra. Poi, ancora, il rapporto con le città del suo cuore, come Bologna.  Le cose che restano, grazie anche alle testimonianze, ai messaggi, ai contribuiti degli amici, dei colleghi e di tutte le persone che hanno lavorato, e amato, questo artista meraviglioso, è un omaggio che ci ricorda che Ezio Bosso ci ha regalato uno strumento adatto a tutti, e perfettamente accordato: l’ascolto. Con il suo sorriso spontaneo e caldo ci ha trasmesso una grande fiducia nell’umanità, insegnandoci –  senza mai salire in cattedra – che la bellezza dell’arte appartiene a chiunque e non ci sono né barriere di genere, né separazioni culturali. Perché il sentimento non ha bisogno di documenti di identità, ma è un incontro di pace e di dialogo tra le persone. Il viaggio musicale di Ezio Bosso è stato quello che il Maestro Ennio Morricone, scomparso anche lui nel 2020, definiva Musica Assoluta: un percorso fatto di idee, elaborazioni, pensieri, senza steccati.

Una sorta di “officina” perenne e in continuo scorrere creativo. Il film di Giorgio Verdelli sarà in sala soltanto per tre giorni: 4,5,6 ottobre. Il documentario raccoglie, inoltre, un bellissimo inedito del musicista dal titolo, appunto, The things that remanin.

Noi che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare – e guardare – la gioia, la carica vitale della musica di Ezio Bosso, possiamo aggiungere un punto a quel famoso elenco di Woody Allen del film Manhattan, “le cose per cui vale la pena vivere”. La vita di Ezio Bosso è stata un dono per tutti noi, e Giorgio Verdelli ce lo ricorda benissimo. “Le cose che restano” sono la musica. Ovunque, sempre.

di Antonella Putignano