Boys, il nuovo film di Davide Ferrario, nelle sale dall’1 luglio, racconta la storia di quattro amici – Neri Marcorè, Marco Paolini, Giorgio Tirabassi, Giovanni Storti – che condividono la passione per la musica e che negli anni ’70 avevano una rock band di successo, “The Boys”, per l’appunto. Quando un giovane rapper chiede loro di tornare a suonare dal vivo, i quattro accettano ma all’appello manca Anita, la componente femminile del gruppo, di cui si sono perse le tracce. I Boys si rimettono allora sulla strada alla ricerca della vocalist, che nel frattempo ha avuto una figlia…

A interpretare Anita è Isabel Russinova, attrice, drammaturga, produttrice, scrittrice e operatrice culturale.

Isabel, nel film interpreti una musicista che suonava negli anni ’70, che ci dici di quel periodo?

Che eravamo molto giovani, molto più giovani rispetto alla protagonista del film, quello scarto che basta per averli vissuti da tredicenne e non da diciottenne, che insomma fa la differenza. Però mi ricordo gli anni ’70 per un grande senso di libertà, anche se ero troppo giovane per essere una ribelle a tutto tondo, ma ero già una giovanissima potenziale e aspirante ribelle, come lo erano tutti i ragazzini di allora. Questa cosa mi ha accompagnato nel tempo, i miei figli mi chiamano “mamma hippy”. Noi siamo i ragazzi di quel tempo là.

Certo era un periodo speciale, di grandi cambiamenti…

Noi siamo figli di una generazione che ha conosciuto la guerra. I miei genitori, i miei nonni, per origini, per nascita, per storia, anche geografica, vengono da quei Paesi che più hanno sofferto la guerra, la privazione di libertà. La Bulgaria (Isabel è nata a Sofia e cresciuta a Trieste, ndr), distrutta, è entrata in un’altra fase storica totalmente diversa. Trieste, poi, è il luogo dove più bruciano i grandi cambiamenti. Quindi questo senso di libertà prima di tutto, di ribellione, è stato una costante dei ragazzi di allora ed è la costante anche dei ragazzi cresciuti di oggi, i Boys.

Come sei entrata nel progetto di Ferrario?

Quando Davide me ne ha parlato, io ho sposato subito il progetto. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ho trovato molto interessante raccontare questo senso di libertà mai assopito, questi ragazzi cresciuti che non vogliono abbandonare i propri sogni. Perché i sogni non vanno mai abbandonati…

Gli eterni ragazzi nel film sono Paolini, Marcorè, Tirabassi e Giovanni (senza Aldo e Giacomo), tutti attori provenienti da esperienze diverse. Come ti sei trovata con loro?

Siamo tutti persone molto curiose, abbiamo fatto esperienze dovunque. Anch’io mi muovo fra teatro e cinema, scrivo libri, testi per film e pièce teatrali. Siamo attivi nel cercare sempre nuovi progetti, nuovi percorsi, e quindi ci siamo trovati bene. C’era molta fratellanza fra di noi, grande voglia di approfondire e sperimentare. Sono persone molto interessanti.

Avevi mai lavorato con qualcuno di loro?

No, con nessuno. Neri è un ragazzo profondo, curioso, ironico e tutti i vari sinonimi di intelligenza… Tirabassi è una persona meravigliosa, e così Paolini. Giovanni è un bon bon: simpatico, sensibile e qui è straordinario, porta una sua grande umanità e capacità di raccontare personaggi imbevuti di malinconia. È un attore straordinario.

Sanno tutti suonare veramente?

Sono grandi professionisti, riescono a fare tutto.

Per l’anteprima del film a Taormina c’è stato uno spettacolo dal vivo: è stato emozionante tornare su un palcoscenico al cospetto del pubblico?

La star trainante era Mauro Pagani (polistrumentista che ha fatto parte della Premiata Forneria Marconi, ndr), lui ne ha di cose da raccontare. Ma tutti noi siamo pratici di palcoscenico. Io tra poco sarò in scena ai Solisti del Teatro a Roma con un mio spettacolo. Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì, è stato bello e come sarà bello riprendere dopo due anni e ritrovare il pubblico, anche se ancora con il distanziamento e una capienza ridotta. Quelli di Taormina sono stati giorni intensi, con un vulcano che si faceva sentire, sprigionando energia all’ennesima potenza. Non ci poteva essere debutto migliore.

Foto: Federico Guberti / LaPresse

Il tuo spettacolo di Roma come s’intitola?

Eva degli Iris. Va in scena in anteprima assoluta martedì 20 luglio per il Festival I Solisti del Teatro presso i Giardini della Filarmonica Romana. È un testo dedicato a Eva Mameli Calvino, che è stata una grande scienziata, un grande ambientalista, forse la prima ambientalista italiana. A lei si devono studi importantissimi di botanica. Lei è stata anche una grande divulgatrice scientifica, che ha guardato ai ragazzi, ha cercato di proteggere tutte le specie di uccelli, spiegando quanto è importante la difesa di ogni essere vivente per la tutela del nostro pianeta. Se Sanremo è oggi considerato il regno dei fiori, lo dobbiamo a lei. Prima dei suoi studi a Sanremo c’erano 40 rose, dopo il suo lavoro possiamo contare un numero spropositato di specie di rose. Tra l’altro, è la mamma di Italo e Floriano Calvino. Due eccellenze del ’900. Il primo grande scrittore noto a tutti, Floriano, invece, era un grande geologo. A lui dobbiamo il cammino della verità sul disastro del Vajont. Noi siamo il risultato dei nostri genitori e questo risultato serve a delineare questo profilo. Io da anni cerco di valorizzare il femminile.

Fra i tuoi testi teatrali infatti leggo titoli come Galla Placidia, Agatha, Safa e la sposa bambina

Alcuni sono frutto della mia collaborazione con Amnesty International. Io con il teatro e coi miei testi cerco di divulgare quelle tematiche attraverso la drammaturgia. Quello della sposa bambina l’ho fatto perché la linea guida di Amnesty in quell’anno erano le spose bambine.

Grazie al tuo impegno sociale e civile, so che quest’anno hai ricevuto il il Premio Internazionale “Semplicemente Donna” e presto sarai in Sardegna per degli spettacoli sulle figure femminili della storia dell’isola.

Sì, sono stata coinvolta in questo progetto che si chiama “Archeologica” dai Beni culturali della Regione Sardegna, che vuole valorizzare la cultura locale, soprattutto per quanto riguarda la protostoria, affidandola al racconto di alcuni testimonial, ognuno per la propria disciplina: ci sono Sgarbi, Giacobbo e Tozzi, poi ci sono io per quanto riguarda il teatro. Ho scritto un testo che racconta alcune delle figure femminili più significative della Sardegna, ce ne sono tantissime e io ho scelto queste: Eleonora d’Arborea, Atte, Adelasia di Torres e Violante Carros.

Con Boys è stato detto che è il film che segna il tuo ritorno al cinema, ma in realtà non te ne sei mai allontanata…

In questo momento c’è il mio corto al Milazzo Film Festival, Là dove continua il mare, da me scritto e diretto, che parla proprio del profilo orientale. È visibile sulla piattaforma Indiecinema. Poi in giro da un po’ c’è Il Suggeritore – Nil difficile volenti, che non ho diretto ma in cui recito con Franco Nero, per la regia di Fabio D’Avino. Poi su Amazon Prime Video è presente la mia opera prima L’incredibile storia della signora del terzo piano, da me diretta con Rodolfo Martinelli. Non ho mai staccato, quindi, seguo quel che mi interessa realizzare, comunicare, divulgare.

Non hai una preferenza tra cinema e teatro?

M’interessa raccontare una storia, cerco di raccontarla con il linguaggio che meglio può rispondere alla sua narrazione e anche quello che posso fare in termini di budget. È ovvio che quando sono coinvolta come attrice mi fa sempre piacere: stimo Davide Ferrario, autore fra i più interessanti e originali del nostro cinema. I suoi documentari, le sue storie, i suoi racconti sono quelli un intellettuale che attraverso i suoi film racconta qualcosa. Un conto è l’intrattenimento, un altro è un percorso culturale. Spesso si confondono la popolarità e la visibilità con un’altra cosa. Tu scegli di di utilizzare l’arte, la sensibilità per raccontare delle storie, perché per te è importante, non pensi alla visibilità, ma a qualcosa da poter offrire. Il cast del film Boys è un cast di persone che fanno le cose che vogliono fare. Questa secondo me è la differenza fra un artista che utilizza il proprio tempo per raccontare, che è la cosa più importante, perché il tempo dell’uomo che abbiamo a disposizione è quello che abbiamo per raccontare, attraverso il meraviglioso dono della vita, chi siamo. Un conto è invece pensare alla visibilità, al selfie, è un attimo, un’altra cosa, poi scivola via.

Tu provieni da tre culture differenti: slava, mitteleuropea e mediterranea. C’è una confluenza delle tre in quello che fai oppure senti di appartenere di più a una di queste?

Credo che noi siamo un prodotto shakerato di tutto quello che c’è nel nostro dna. Lì troviamo parte di quello che è stato prima di noi. Anche senza saperlo, continuiamo a contenere pezzi di vita e di esperienza dei nostri avi. Siamo il risultato della vita, e così chi verrà dopo di noi, i nostri figli, continuerà a contenere qualcosa di noi. È un fatto bellissimo, magico. Ognuno di noi è tante cose, la vita è così breve, per questo credo che il tempo debba essere utilizzato al meglio, è un grande dono, la vita. Quando si è giovani si ha una concezione della giornata, del vivere, diversa. Io penso di essere una persona fortunata, perché ho attraversato tante stagioni della mia vita, però sono riuscita a continuare il mio percorso sottolineando e cercando soprattutto di utilizzare il tempo per valorizzare la conoscenza.

Guardando la tua biografia, il tuo percorso in effetti è caratterizzato da un’evoluzione continua: sei partita dal cinema leggero, per approdare al teatro dei grandi classici fino a firmare testi come autrice.

Infatti, e li hanno rappresentati anche altre attrici, una cosa che mi piace molto. Attualmente curo anche una collana di teatro per Curcio Editore. Adesso è uscito il primo volume, Musica per lupi, di Dario Fertilio, uno scrittore di origine dalmata molto interessante. Vorrei valorizzare anche i giovani autori della drammaturgia.

Il teatro viene considerato perennemente in crisi, ma resiste da sempre.

Esatto. Se tu leggi i discorsi, le lamentele, le dissertazioni dei grandi drammaturghi dei secoli scorsi, sembrano scritti oggi. L’intrattenimento soddisfa temporaneamente la pancia delle persone, ma in un momento piccolo, poi si dimentica. È come un acquazzone che ti bagna, arriva, si asciuga subito e poi te ne sei dimenticato. Fa parte del ritmo del respiro dell’umanità: ci saranno sempre quelli che ricorreranno all’intrattenimento e quelli che, passo passo, con grandi difficoltà, vorranno invece dire qualcosa.