(di Antonella Putignano) Per ragionare insieme sullo stato dell’arte, a pochi giorni dall’abolizione della censura cinematografica in Italia, abbiamo rivolto alcune domande a Italo Moscati: sceneggiatore, autore, giornalista e conduttore. Con lui abbiamo parlato di pellicole, e non solo.

Recentemente, il ministro Franceschini è intervenuto a proposito della censura: finalmente è stata abolita, dopo un periodo lungo, a cominciare dall’anno della sua introduzione, il 1913. Così, dovrebbe essere tutelata la libertà espressiva per quanto riguarda l’opera cinematografica, e gli operatori del settore potranno tirare un sospiro di sollievo. A tutela dei minori e delle più diverse sensibilità degli spettatori è stata introdotta una commissione di esperti, presieduta da Alessandro Pajno. Cosa ne pensa, è una conquista “a tutto schermo”?

«L’opera è un’opera e la libertà è la libertà. Quali sono le prerogative di questa commissione? Di fatto, si abbandona la censura ma resta la critica. Non vorrei far parte di una commissione che deve giudicare il gusto, la sensibilità di un collega, di un autore, e, in qualche modo, creare un equivoco sul suo valore».

Pensa che nel corso degli anni, a distanza da quel periodo di grande emancipazione culturale e politico – a cavallo tra anni ’60 e ’70 – si sia affievolita la lotta per la difesa del diritto d’autore, e del diritto alla libertà di espressione? Gli autori, gli artisti – tutti – hanno tollerato di più le restrizioni per poter far circolazione le proprie produzioni con più facilità?

«Ci sono sempre stati i tribunali che hanno decretato le sorti di un film. Ricordo quando ho fatto parte della giuria a Venezia, nel ’68, e venne presentato Teorema di Pasolini. Il film fu sequestrato dalla Procura di Roma, e stiamo parlando di un regista e di un autore immenso come Pasolini. C’è sempre stato in questo settore l’interesse ad avere riscontri, opinioni per promuovere un film. Ma un conto è un’opinione e un conto è fare un processo a un’opera, alla creatività, alla libertà di espressione».

Il nostro Paese è a quasi crescita demografica zero e la terza età è stata, purtroppo, la più colpita da questo virus. Gli anziani, dunque, seguono la televisione e torneranno, speriamo presto, con tutte le sicurezze del caso, come tutti noi, anche al cinema. Lei che conosce benissimo sia la televisione che il cinema, negli ultimi tempi, crede che questi schermi abbiano un po’ trattato come spettatori di serie B una buona e larga fetta di pubblico, sia per temi trattati, sia per linguaggio espressivo? Si dà per scontato che il pubblico più adulto sia più passivo rispetto a quello che guarda e che ascolta, e, dunque, meno bisognoso di attenzione?

«Ogni spettatore ha le sue idee e le sue sensibilità: qualcuno ne ha di più. Non è una questione solo di età. Bisogna tornare a fare un cinema di qualità».

Da più di un anno, tutti viviamo nell’incognita del quotidiano e travolti da una cosa che è stata enorme e dagli effetti devastanti e dolorosi. Il cinema, come tutto il settore della cultura e dello spettacolo, si trova in uno stato di incertezza assoluta per quanto riguarda programmazioni, distribuzioni e tutto l’indotto che sostiene l’industria, ma in che stato si trovano le idee? Da dove, e da cosa, i registi e gli autori, oggi, dovrebbero ripartire? Che capitolo nuovo di narrazione si apre?

«Noi abbiamo avuto un cinema grande come il neorealismo. E, anche durante la guerra, dal punto di vista tecnico, ci sono state delle cose fatte bene. Ricordiamo quale momento magico è stato il dopoguerra: c’erano artisti come Rossellini, De Sica. E poi, abbiamo avuto l’opera straordinaria di Fellini. Sono stati loro, da soli, con la loro sensibilità, con il loro sguardo, con l’attenta riflessione, a maturare un’idea di cinema così potente, sensibile. Ecco, è proprio dalla visione, dalla creatività, dall’osservazione che bisogna ricominciare. Anche un grande regista americano come Martin Scorsese racconta di quanto il cinema mondiale debba essere grato a un film italiano come La dolce vita: per la ricerca nelle immagini, l’onestà cruda e, soprattutto, per quel desiderio di libertà narrativa. Per Scorsese, infatti, c’è un cinema “prima” e un cinema “dopo” La dolce vita».

Ennio Morricone, come ha raccontato lei nel suo libro dedicato al grande compositore, parlava di Musica Assoluta: esiste, o è esistito, secondo lei, un cinema assoluto, quale?

«Per musica assoluta, Morricone intendeva una musica senza etichette, senza confini, senza distinzioni tra musica “colta” e musica leggera. Con questo non significa mettere tutto sullo stesso livello, ma sottolineare l’importanza di concedere a tutti la stessa possibilità di spaziare nella composizione, dando voce al talento, senza le distorsioni dei pregiudizi. Leone e Morricone hanno fatto, insieme, sia musica che cinema in maniera assoluta. La loro collaborazione creativa, il loro ascolto reciproco sono stati elementi fondamentali per la realizzazione dei loro capolavori. Anche oggi, ci sono bravi musicisti per il cinema. E le colonne sonore, in un film, fanno, ovviamente, la differenza».

Lei ha dedicato un libro ad Alberto Sordi, agli aspetti più intimi dell’artista, alla sua musicalità, e al suo talento da grande sperimentatore, sia come attore comico, che drammatico. Ma Sordi era tanto di più. Un talento straordinario che riusciva, istintivamente, a cogliere certi aspetti e certi vizi, anche i più intimi e privati, della società. Possiamo dire che è sempre il vero artista quello che, anche prima degli altri, riesce a intercettare i segnali di cambiamento e i sentimenti del tempo che vive?

«Sordi non era solo un comico, era proprio l’attore. Perché il comico, quello grande, è l’attore, e, purtroppo, in questo momento, di comici veri se ne vedono pochi. Sordi ha interpretato tanti ruoli, possiamo dire, “antipatici”, non facili, o, comunque, in qualche modo, sempre personaggi doppi, con quella sua incredibile intelligenza di interprete, che riusciva a mettere in luce più sfumature di un personaggio. Un attore che non usava solo la voce, ma era fisico, fortemente, fisico. I registi capivano questo suo grande potenziale e gli affidavano questi ruoli che mettevano in risalto la sua grande versatilità. Sordi coglieva, come artista, l’anima dei suoi personaggi, e si faceva strumento per raccontare. Certo, c’erano i registi che sapevano cogliere il talento e lo sapevano dirigere. Abbiamo avuto grandi commedie con grandi attori. Oggi, non trovo ci sia questo fermento».

Con quale stato d’animo, secondo lei, dopo questa lunga pagina di sofferenza collettiva legata alla pandemia torneremo in sala per vedere un film?

«Censure a parte, il cinema deve tornare a coinvolgerci. Questa pandemia ha silenziato un intero settore che deve tornare a farsi sentire, anche nei contenuti. Bisogna cercare i talenti, le idee. E i grandi produttori devono puntare su questo. Investendo».