(di Renato Marengo) Giorgio Verdelli, regista del bellissimo film su Paolo Conte Via con me, racconta la sua esperienza. Questo è forse il film più riuscito del regista napoletano che ha già realizzato numerose pellicole musicali di successo, ultima Il tempo resterà su Pino Daniele. Un riuscito ritratto di uno dei nostri migliori autori, un avvocato, ma anche un jazzista, che coinvolto dal successo di canzoni come Azzurro, Bartali, Messico e Nuvole e Via con me, che dà il titolo al film, si scopre, suo malgrado divo.

Vedo film musicali da quando scrivo e questo tuo film su Paolo Conte, caro Verdelli, incolla allo schermo per tutta la durata, sin dalla prima scena. Perché non c’è discontinuità tra i parlati e la musica, e perché le parole di Conte, ma anche il misurato speakeraggio, si susseguono come in un’unica suite, come in un music hall. Ho trovato il racconto ben sottolineato e intervallato dalla musica, dai testi e l’alternarsi tra canzoni di successo e brani meno noti, ma affascinanti, di un jazzista delicato e grintoso. E deve essere stato molto piacevole fare un film su di lui, non è vero?

«Sì, è stato certamente piacevole e intrigante lavorare su un grande artista come Paolo Conte, che oltre a essere uno straordinario artista è anche una persona con una profondità e una gentilezza coinvolgenti. Naturalmente è stato impegnativo, ma non poteva essere altrimenti, e nell’impegno sono stato aiutato da tutto il mio gruppo di lavoro e dal management di Conte, da cui è scaturita la scintilla di questo progetto».

C’è una cosa che nel film dice un regista francese che ho trovato molto significativa per comprendere questa straordinaria accoglienza che tra pubblico e artisti viene subito riservata a Paolo Conte: “Lui ha quella simpatia, quel carisma, quel fascino che aveva anche Marcello Mastroianni, come se fosse una persona di famiglia”. Ma è proprio così? Io lo ricordo molto riservato, quasi un po’ chiuso come persona, come è stato con te, in privato, dietro le quinte?

«In realtà Paolo Conte dietro la sua aria burbera è una persona di grande tenerezza e complicità anche se lui sa di avere un carisma notevole ma non lo esibisce più di tanto, lui ha una grazia speciale e frequentandolo ne sei contagiato».

Dall’Opera di Parigi al Teatro San Carlo di Napoli a… Montreux, la capitale del jazz, lui appare sempre a suo agio, seduto al pianoforte o in piedi, a cantare canzoni impegnate, spesso drammatiche, ironiche o dedicate a personaggi della cronaca o dello sport. Mai sopra le righe, senza frasi  furbamente tragiche né ridanciane. Durante le riprese è rimasto sempre così distaccato o si è lasciato andare?

«Ma devo dire che si è messo al servizio delle riprese senza problemi, anzi il giorno del San Carlo abbiamo registrato vari step in esterno. Guido Harari ha fatto delle belle foto e poi le prove anche dei pezzi in napoletano che ha eseguito apposta per noi e persino uno speaker de L’infinito di Leopardi che gli avevano chiesto per il progetto di Franceschini e non ha fatto una piega.Dopo il concerto c’è stata una pacifica invasione in camerino e lui è stato gentile con tutti e ha anche risposto con lettere rigorosamente a mano a Enzo Gragnaniello ed Eugenio Bennato che gli hanno dato i loro dischi».

Il film è stato accolto dovunque molto bene, commenti lusinghieri ed elogi per lui e per la regia. Quali giudizi ti hanno maggiormente colpito o gratificato?

«Beh, sono tanti e ne sono stato davvero orgoglioso, ma la cosa che mi ha fatto più piacere è il messaggio che Alberto Barbera ha mandato a Nicola Giuliano il giorno dopo aver ricevuto la copia non definitiva: “Ho visto il film, fantastico, chiamami domani”. E quindi ci ha invitato nella rassegna ufficiale come evento speciale nella serata che precedeva la chiusura».

È impressionante il numero di personaggi di prestigio e di grande popolarità che appaiono nel fllm, hai avuto “vita facile” chiedendo loro di partecipare a un film su Paolo Conte?

«Devo dire di sì, praticamente è stato un record. Nessuno, sia italiano che straniero, si è rifiutato di dare un contributo, anzi siamo stati noi a bucare qualche appuntamento come quello con Gerard Depardieu perché dovevamo tornare in Italia».

Dietro le quinte come andava, come durante le riprese? Ci sono momenti del backstage, qualcosa che non abbiamo visto nel fllm che ti fa piacere raccontare?

«Conte ha uno spiccato senso dell’umorismo, direi da  uel lato ha un sense of humour molto british… Per esempio, all’Olympia di Parigi, dove è praticamente venerato, noi volevamo riprendere la standing ovation finale come abbiamo fatto al San Carlo e il secondo giorno quando lui si è informato se tutto andasse bene gli abbiamo chiesto di stare un po’ più sul palco per cogliere quel momento se ci fosse stato come la sera prima. “Sì tanto si alzano certamente tanto devono prendere i cappotti”, ha detto sorridendo… Non credo che molti suoi colleghi avrebbero fatto una battuta del genere su un successo così grande».

Il contrasto tra l’esuberanza consueta di Benigni e la riservatezza di Conte è stato una grande trovata per la dinamicità del racconto, è andato sempre tutto liscio, tutto in armonia?

«Benigni ha aderito subito. Lo avevo già intervistato su Guccini e quando gli ho detto del finale su Duke Ellington lui ha annuito, poi ha fatto la sua performance tutta di seguito (quasi sette minuti tutti belli che mi ha concesso di segmentare) dove ha detto all’inizio “è tutta una araldica come Edward Kennedy Ellington detto Duke lui non è un conte ma un Principe”. Al termine tutta la troupe ha applaudito e gli ho detto: “Per me gli applausi non sono per la performance, perché sei Benigni e me lo aspettavo, ma perché sai che Duke Ellington si chiamava Edward Kennedy non credo che molti tuoi colleghi lo sapessero”. E lui, sornione: “Davvero? Però ho dimenticato di dire che lui sta tra Caterina Caselli e Santa Caterina da Siena!”».

Abbiamo sentito con quanto piacere un regista come Pupi Avati ha raccontato di aver realizzato per la Tv, cosa insolita per lui, un servizio su Paolo Conte. A chiederglielo era stato Brando Giordani per il suo bellissimo programma di Raiuno, Odeon, che si distingueva per la qualità delle riprese, scenografie, oltre che per lo spessore dei protagonisti. Quel servizio, che ricordo bene, era bellissimo, immagini curate, fotografia splendida, decisamente ben oltre gli standard Rai. CI racconti qualche particolare?

«Quella era una delle poche richieste di Conte e aveva ragione! Quando ho intervistato Pupi Avati mi ha rivelato che anche per lui era una bellissima cosa girata in pellicola come si usava allora e infatti aveva voluto come direttore della fotografia Franco Delli Colli e si vede! Infatti poi ho “spalmato” quelle riprese in più momenti oltre che nell’intervista a Pupi quel tocco è certamente un grande assist al documentario».

Noi siamo amici da tanti anni e ho visto molti tuoi film o docufilm musicali, sempre con grani personaggi, Tiziano Ferro, Pino Daniele, personaggi con storie importanti al di là della loro popolarità, film che ho sempre apprezzato perché fatti da chi con la musica, oltre che col racconto e con la storia, ci convive a tempo pieno. Qualche volta la foga nelle domande, data anche la confidenza stessa con gli artisti, ti portava a prolungare qualche domanda o a tenere i dialoghi un po’ più lunghi, senza ovviamente nulla togliere alla bontà del risultato finale, ma in questo film su Paolo Conte ti ho visto, con molto piacere, dosare nella giusta misura domande, risposte, commenti, privilegiando la musica, le riprese di concerti, gli interventi di grossi big che cantavano le sue canzoni. E sai quale sensazione sei riuscito a rendere molto bene? Quella che Celentano, Jannacci, Mina, Caterina Caselli, pur mantenendo la propria autorevolezza, fossero tutti allievi del grande maestro di cui stavano eseguendo i successi. Il tuo film su Conte mette in evidenza, forse per la prima volta con la dovuta attenzione, la grandezza di questo avvocato il cui antidivismo naturale ne fa un grande divo. Lo sapevi già prima di girare che sarebbe venuto fuori così o ti è “cresciuto” in corso d’opera?

«Credo che nessuno sappia in anticipo cosa possa venire fuori di un progetto di un certo spessore, avevo delle certezze specie nelle canzoni di Conte che sono un formidabile trampolino di lancio ma la qualità delle interviste la potevo solo immaginare.bDiciamo che siamo stati nel mood giusto, per usare un termine jazzistico, poi credo che abbia funzionato l’impostazione che io stesso ho dichiarato a Conte: “Maestro, vorrei fare un film come uno standard di jazz con un tema scritto e l’improvvisazione libera”“ e lui ha annuito sorridendo».

Appena è finito il film, la sensazione che ho avuto è stata quasi di dispiacere… che fosse finito. Mi ha molto colpito, fra tante cose dette parlando di sé, una frase di Conte che hai evidenziato, al momento giusto: “Io sono un avvocato difensore che ama la musica e sono sceso in campo proprio per difendere le mie canzoni”.

«Quella è anche la mia frase preferita ed è una lezione per tutti perché credo che nel nostro settore ci sia troppo protagonismo a prescindere, quando invece sarebbe bene “difendere” soltanto le opere perché le persone invece devono essere libere di vivere le proprie contraddizioni».

Nel tuo documentario c’è una parte che riguarda il suo rapporto con Napoli e le canzoni in napoletano, che lui, piemontese, ama molto, al punto da averne composte alcune che lui canta in un dialetto dal suono “molto simile” al napoletano. Attrazione questa mai prima raccontata da Conte. Nel film ne discutete.

«Già conoscevo la passione di Paolo Conte per la canzone napoletana, ma in realtà l’idea mi è nata a Bologna durante una ripresa del 2018 (siamo partiti un anno e mezzo prima…), mentre si accingeva alle prove. Conte mi ha fatto una lunga disquisizione sul canzoniere di E.A. Mario, che conosce benissimo. Non ho inserito quella bella conversazione per non essere troppo specifico ma proprio quella mi ha suggerito l’idea di chiedere ad Antonio Bottiglieri, presidente della Scabec (società che coordina le attività culturali della Regione Campania), di realizzare un grande evento al San Carlo in cui Conte avrebbe anche cantato due sue composizioni in napoletano tra cui Spassiunatamente, che è inserita tra i classici della canzone napoletana. Anche Rosanna Purchia, allora sovrintendente, aveva aderito con entusiasmo. L’evento è stato accettato da tutti e poi siamo partiti con la realizzazione, la vera difficoltà è stata che i biglietti si sono esauriti in tre giorni, ma per fortuna ci resta la ripresa!».