Intervista con il noto critico cinematografico Marco Giusti, autore di una vera e propria “bibbia” sul genere che imperversò negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. (di Walter De Stradis)
«Anche se ce ne vergogniamo un po’, ci ha fatto comunque crescere. E ce lo ricordiamo. Tocca qualcosa che l’Italiano medio ha vissuto. Ma io per primo, lo confesso, non ho capito fino in fondo perché quel cinema ci piace ancora così tanto. Sarà che il nostro occhio è diventato a un certo punto Fenech-dipendente».
A parlare è Marco Giusti, celebre critico cinematografico (ideatore, tra l’altro, di trasmissioni come “Blob” e “Stracult”), a proposito del filone del cinema “comico-erotico” italiano, che ha imperversato per tutti gli anni Settanta del Ventesimo secolo, con alcuni ultimi guizzi (come i film di “Pierino”) negli anni Ottanta.
Come spiega l’autore del poderoso (528 pagine!) “Dizionario STRACULT della Commedia Sexy” (Bloodbuster edizioni), si tratta di un genere cinematografico ancora oggi tremendamente nazional-popolare, che gode di continui passaggi televisivi e di ristampe su dvd. Tuttavia, come vedremo, non sempre “a beneficio” di tutti i suoi artefici.
Sono passati circa quarant’anni dalla fine di quel ciclo di film, assai lungo e variegato. In quattro decenni c’è stata un’evoluzione dei costumi. Al giorno d’oggi sarebbe possibile un cinema di quel tipo?
«Assolutamente no. Era un cinema scorretto, con una visione della donna molto razzista e qualunquista. Con la sensibilità attuale, certi film non sarebbero proprio ideati. Ne deriva che la domanda da porsi è perché vanno ancora così bene».
E perché vanno ancora così bene?
«Perché rappresentano una sorta di passato soffice, che fa parte dei nostri ricordi e nel quale uno si può rinchiudere, specialmente adesso con le restrizioni che ci sono. Sono film dotati di un “effetto nostalgia” particolare: ho scoperto che non solo il mondo maschile, bensì anche quello femminile si sente rassicurato dalla Fenech, dalla Guida e via discorrendo. E’ come se fosse un mondo del “com’era prima”. Ripeto, c’erano sicuramente delle cose negative, come la visione della donna-oggetto o il voyeurismo, ma la cosa attraente è la possibilità di tornare indietro. Una specie di regressione infantile».
Forse perché c’era anche una certa ingenuità di fondo.
«Era una sorta di erotismo per tutti, neanche troppo spinto, a buon mercato, che aveva grandissimo seguito al Sud, anche perché non pochi di quei film erano girati in Puglia, in Sicilia; c’era quella deriva da “sotto-Malizia” (“Paolo il Caldo” etc.). Tant’è che c’erano anche i vari filoni erotici, legati a Trani, a Martina Franca e alla Sicilia, appunto. Grandi sale del Sud mettevano anche soldi nell’operazione, non limitandosi alla distribuzione. E ci guadagnavano».
Abbiamo fatto cenno ai vari sottogeneri della Commedia Sexy. Ce n’erano tanti, dalle “soldatesse”, alle “insegnanti”, alle “infermiere”, alle “collegiali”, alle “ripetenti” e via discorrendo. E c’era anche il cosiddetto filone “Decamerotico”, nato in seguito ad alcuni film in costume girati da Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo, tuttavia, a un certo punto si schierò contro la Commedia erotica italiana, temendo che l’Italia a un certo punto si tramutasse in un Paese di onanisti e di guardoni.
«Sì, «di pipparoli e di guardoni», disse, ma forse avrebbe dovuto pensarci prima. Lui in realtà con i suoi film credeva di fare un’opera di rottura -e il suo “Decameron”, con quei nudi, in effetti lo fu- però c’era il rischio che fosse capita male e che venisse esaltata -come poi successe- la parte un po’ più zozza e voyeuristica. Ma va detto anche che la nostra visione del sesso è comunque cresciuta, cambiata, grazie a questi film. Se lei ci pensa, infatti, le protagoniste dei “Decameroni” erano anche donne non bellissime, e quindi c’era un realismo di fondo. Ripeto, c’era questa cosa ossessiva e negativa dello sguardo maschile, ma per quanto riguarda il resto ci siamo resi conto che era tutto naturale. Si veniva infatti da un cinema molto retrogrado e chiuso. Insomma, l’Italia in quegli anni è comunque andata avanti, anche grazie alla commedia erotica».
Abbiamo parlato dell’impatto sociale di quei film, ma dal punto di vista prettamente artistico, cosa c’era da salvare davvero?
«Intanto alcuni sono proprio belli, e io li “salvo” proprio come cinema (penso ai film di Nando Cicero e di Mariano Laurenti, registi molto bravi). E poi, se un certo cinema ha fatto così tanti soldi a quel tempo, e ha un ricordo così forte ancora oggi, rispetto al cinema medio fatto nello stesso periodo, vuol dire che ha segnato profondamente il nostro immaginario e che fa parte della nostra storia».
C’è poi la qualità delle colonne sonore, anche se questo discorso vale un po’ per tutto il cinema italiano di quell’epoca.
«Sì, ma tenga conto che nei film più piccoli i musicisti avevano più spazio per sperimentare cose nuove e diverse».
Molte erano le dive di quel cinema, ma soltanto alcune, penso a Edwige Fenech o a Gloria Guida, sono riuscite poi a proseguire verso un diverso tipo di carriera (anche in tv), mentre alcune altre si sono portate dietro come un “marchio”, e altre ancora sono finite a fare film ancora più spinti.
«Edwige ha fatto film con Tognazzi e Alberto Sordi, ma anche lei non è mai riuscita del tutto a togliersi di dosso il nome della “Ubalda”. E questo è stato veramente brutto. Ricordo che una volta a Venezia volevamo farle presentare la serata finale dei premi, ma tutto il nostro cinema si oppose. Immagino non fosse bello per lei essere etichettata per tanti anni. Io sono un grande fan di Edwige».
Oggi, a distanza di diversi anni, vediamo anche alcuni protagonisti di quei film andare in tv a lamentare condizioni economiche disastrose, al limite della sopravvivenza. Trova che tutto ciò sia segno di un’Italia un po’ ingenerosa nei confronti di certi personaggi, o al contrario trova poco decoroso questo tipo di appelli televisivi?
«Non è bello, ma certo sono passati tantissimi anni da quei film, e consideri che molti comici -così come molte attrici- furono sfruttati. A loro oggi spesso non viene niente, credo, da tutte quelle visioni e da tutti quei passaggi televisivi. Perciò, io capisco la posizione di Alvaro Vitali e di Gianfranco D’Angelo a tal proposito, e sarebbe anche giusto che a loro arrivasse qualcosa in più. Non so com’è all’estero, ma da noi questa è sempre stata la legge del cinema».