Tutti sanno che Federico Fellini, uomo dal multiforme ingegno, cullò per decenni il progetto di quello che per lui era il Film, ovvero il mitico Viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. Di “La Strada”, “ La Dolce Vita”, “ Otto e mezzo”,“Roma”, “I Vitelloni”, “Amarcord” “Ginger e Fred”, “Intervista”, “La Voce della Luna”, per citare i più famosi, si può parlare all’infinito, raccontando anche i perché e i percome questi film incredibili furono realizzati. Per il “Mastorna” invece, è una storia all’incontrario. Credo si possa dire che il motivo principale per cui NON venne realizzato sia la superstizione e la paura che essa genera in alcune particolari persone. Fellini, e anche questo è risaputo, aveva un rapporto tormentato, quasi angoscioso col cosiddetto pensiero magico. Il sovrannaturale lo affascinava fino a condizionarne comportamenti e scelte di vita. Già aveva inseguito, assieme a Milo Manara, Vincenzo Mollica e Andrea De Carlo, gli ambigui messaggi che gli inviava lo scrittore-sciamano Carlos Castaneda, coinvolgendoli in un assurdo viaggio in Centroamerica, divenuto poi il fumetto “Viaggio a Tulun”. Un percorso costellato da episodi realmente assurdi ma assurdamente reali, come giurano tuttora i partecipanti a quell’avventura.

E ancora mille “segnali” malauguranti suggerirono a Fellini di non portare mai a termine il “Mastorna”, tra cui spiccò il parere del sensitivo più a lui caro, Gustavo Rol, che intuiva la realizzazione del film come indissolubilmente legata alla morte del suo autore.

Per quel che si sa della storia del “Mastorna”, il suo viaggio è la rappresentazione proprio del passaggio in un altrove indeterminato. È lecito aspettarsi una risposta chiarificatrice dal grande Federico in futuro, dovunque sia adesso? Io ci credo.

Nel 1993, mentre Fellini si arrovellava nel suo progetto più misterioso, la musica nostrana si evolveva. Cercate un solido rock italiano confezionato a dovere? Lo avete trovato proprio quest’anno e, al massimo della qualità, in un pezzaccio dei Litfiba, band di tutto rispetto al di là degli istrionismi del cantante Piero Pelù. Voglio dire con questo, che la struttura davvero portante del gruppo è la chitarra immaginifica di Ghigo Renzulli, generatrice inesausta di riff capaci di restituire elastica mobilità anche a un centenario in sedia a rotelle.

Prima guardia, oltre a sfoggiare un testo antimilitarista di tutto rispetto, restituisce al meglio quel senso di vitalità repressa ben conosciuto da chi ha svolto regolare servizio militare.

Io me la ricordo, la prima guardia, l’impotenza della solitudine davanti al buio di un nemico inesistente proprio come quello della canzone. E ogni volta che esplode l’assolo di Renzulli, ogni maledetta volta sono ancora lì, su un’altana  in mezzo al nulla, col mio fucile carico di retorica e frustrazione. Comincio a cantare, sempre più forte e più incazzato, immaginando di avere tra le mani la chitarra di Ghigo che spara note a raffica, fino all’ultimo verso, che trovo sublime: “Trasforma il tuo fucile in un gesto più civile!”.