Strana la vita: nel ’77 si spara in strada, quasi sempre per uccidere. L’aria si fa ogni giorno più angosciosa, livida, in particolare in Italia, dove le città si sono abituate allo stato d’assedio permanente, a una paura difficile da scrollarsi di dosso. Nei cinema invece, tutto il contrario. Un giovanotto dall’andatura indolente, elastica, cammina per le strade di New York alla ricerca di un’improbabile riscatto personale. Il suo nome, sullo schermo, è Tony Manero, italo-americano di Brooklyn; quello vero è John Travolta, italo-americano di Hollywood, stella nascente e futuro idolo di diverse generazioni. Entrambi ballano come si balla solo in paradiso, e la sua storia minima diventa improvvisamente la storia di un esercito di giovani pronti a tuffarsi nella discoteca rutilante degli anni Ottanta, tutta pavimenti luminosi, colori sgargianti, musica facile e riflessi stroboscopici inviati in tutte le direzioni dalla palla a specchietti, icona di un’epoca, sospesa al centro della pista.
31 dicembre 1977: La febbre del sabato sera è trasferita in blocco nel salone medio borghese di un appartamento al Nuovo Salario, dove si balla sfrenati Disco Inferno, per poi stringere la ragazza con la frangetta sulle note complici di How Deep Is Your Love, confidando in un ritorno a casa sognante, sulla 127 rossa bordeaux nuova nuova. Burn, baby, burn. A Capodanno, forse, anche il terrore si prende una pausa.
Quando la notte diventa adulta, qualcuno mette invariabilmente sul piatto l’ultimo album di Lucio Dalla e, stremati sul divano, si fuma qualcosa ondeggiando al ritmo del mare. Due accordi, una canzone meravigliosa: è Com’è profondo il mare, dal testo criptico e poetico. Beccheggio e rollìo, sonorità elettroniche ma soavi, un fischio notturno che arriva dalla spiaggia deserta. Parole dolci e taglienti. Ricordi d’infanzia. Lotta di classe. Echi di violenza, di ingiustizia, di disperazione. Catene, bastonate, chirurgia sperimentale. Uomini, o pesci che, attoniti, assistono al dramma collettivo e iniziano a pensare, al riparo dell’oceano che li protegge. Ma basterà?