Ci sono diversi modi per fissare, con chiodi indistruttibili, lo spirito di un’epoca nel muro della memoria. Pittura, fotografia, immagine, film. Molti artisti visuali ci provano, alcuni con la dichiarata volontà di farlo, altri inconsapevolmente. Michelangelo Antonioni, all’epoca già ultracinquantenne, a metà anni Sessanta partì per l’Inghilterra sotto l’effetto di un racconto di Julio Cortàzar intitolato La bava del diavolo, e soprattutto della sensazione che in Inghilterra, in quel momento storico, stavano accadendo cose memorabili. Tornò con in tasca un capolavoro. Era Blow Up, storia di un inquieto fotografo col volto angelico di David Hemmings, che a Londra finisce a indagare su un misterioso omicidio. Né un giallo, né un racconto introspettivo, però. Piuttosto un enigmatico puzzle in cui puoi imbatterti con irrisoria facilità nella giovane Vanessa Redgrave o negli Yardbirds di Jimmy Page e Jeff Beck, impegnati a sfasciare chitarre in un club fiammeggiante di energia. Oppure nell’adolescente Jane Birkin o in Verushka, nella Pop art e nella pop music d’eccellenza, insomma nello zeitgeist fremente di creatività, sesso e insoddisfazione più incisivo e affascinante del secolo passato.
L’Espresso pubblicò foto definite scandalose, in cui Thomas, il fotografo, si rotola professionalmente nel suo studio con Jane Birkin e un’altra modella, finendo praticamente nudi in un vortice creativo allo stesso tempo innocente e malizioso. Quegli scatti, sbirciati di straforo, provocarono nel dodicenne che fui notevoli turbamenti, di cui vi rendo partecipi per dovere di cronaca, come delle lunghe discussioni tra adolescenti sulla misteriosa partita a tennis mimata del finale. Realtà, illusione, gioventù, bellezza, gioco. La meravigliosa giacca di velluto, i mocassini neri lucidi, i pantaloni bianchi e la camicia azzurra e i capelli biondi di Thomas scompaiono, inghiottiti nel verde del parco dove tutto è iniziato, senza dare risposte.
Mentre la swinging London esplodeva, pochi ma validi pionieri nostrani ne raccoglievano il testimone in tempo reale. Tra questi, Dante Luca Pieretti, in arte Gian, classe 1940, provincia di Pistoia. Amico di Ricky Gianco e di altri coraggiosi, diventa una specie di alter ego italiano di Donovan Leitch, che conosce personalmente e dal quale trae ispirazione per un pezzo semplicemente stupendo: si chiama Il Vento dell’Est, ballata acustica dolce e malinconica, che garantirà a Gian Pieretti un posto di tutto rispetto nei ricordi di noi che, all’epoca, ne garantimmo il successo gettonandola a ripetizione nei juke-box tra le Alpi e il Mediterraneo. Noi, stregati dal profumo dei capelli lunghi di una ragazza avuta e perduta, e che magari ancora indistintamente cerchiamo, guardando senza farci accorgere verso Est. Per vederla tornare.