Qualcosa di originale da dire, su Il sorpasso? Difficile, difficilissimo. Potrei rivelarvi che la sguaiata padrona della trattoria dove la strana coppia Roberto Mariani-Bruno Cortona si presenta a ferragosto pretendendo di pranzare è interpretata dall’arcigna aiuto costumista del film di Dino Risi. O che le due iconiche “tedesche” inseguite fin dentro il cimitero sono Annette Stroyberg e Margaretha Robsham, future mogli di Gassman e Tognazzi (Vittorio e Ugo, naturalmente). O farvi due palle così sulle location del film, che conosco a menadito, ma meglio di no. Piuttosto mi soffermerei sulla figura di Valeria, la donna vagheggiata da Roberto/Trintignant, che nel film non si vede mai. O meglio, Roberto crede per un attimo di vederla, alla stazione di Castiglioncello dove aspetta un treno che non prenderà (per sua sfortuna). È uno dei momenti poetici di un film straordinariamente cinico, fotografico, al punto che il ricordo reale di quegli anni si confonde con le immagini del film stesso. L’attimo magico si interrompe con la battuta del ferroviere che, a domanda di Roberto sulla destinazione di un treno risponde in toscano: “L’è un lohale, va a Pisa”. Bene, su questa battuta i miei fratelli grandi ci hanno campato per anni, ripetendola all’infinito finché non hanno pensato bene di lasciare la casa natìa e sposarsi.

Una sottigliezza che pochi in genere notano: Roberto/Trintignant passa per lo sfigato di turno, surclassato dal fascino caciarone di Bruno/Gassman. Non è così. Fate attenzione allo sguardo timidamente languido e alle battute che Catherine Spaak, figlia di Bruno, gli lancia sulla spiaggia di Castiglioncello. Lei ha scelto di sposare il cumenda Claudio Gora – “Bibì. E che d’è, un pechinese?” – ma già sta rimpiangendo il fiore dei suoi sedici anni sacrificati. D’altra parte, anche la cameriera del ristorante, a Civitavecchia aveva messo gli occhi su Roberto. Lo dice Bruno stesso: “T’aveva dato tutti i gamberetti più grossi”.

Forse vi starete chiedendo come faccia io a sapere che nel film Trintignant si chiamava Roberto Mariani, visto che Gassman, al poliziotto che appare solerte sul luogo dell’incidente finale dice, sconvolto: “Se chiamava Roberto, il cognome non lo so, l’ho conosciuto stamattina…  Fidatevi di me, il cognome era Mariani. Lo dice lui stesso quando, tremebondo e memore della sua educazione si presenta a Bibì. Sì, insomma, a quell’odioso del cumenda.

Abbiamo appena finito di parlare de Il sorpasso ed eccolo rientrare in musica. Peppino Di Capri mica era l’ultimo arrivato, nel ’62. Era il re dei dischi venduti, in Italia, e uno dei primi ambasciatori della frenesia rock in arrivo dall’America. Il twist, ballo in cui mi cimentavo instancabilmente da ragazzino, è stato una specie di cavallo di Troia per l’arrivo del rock, in Europa, ed ecco Peppino lanciare St. Tropez Twist, che accompagna le immagini spensierate dell’affollatissima spiaggia, a Castiglioncello, proprio nel film di Dino Risi.

E pensare che l’immagine tutta mediterranea di Peppino, alla guida dei suoi scatenati “Rockers”, coi riccioli neri e i caratteristici occhiali a montatura in tinta, era quanto di più diverso ci fosse dalle zazzere lisce e curate dei Beatles, di cui Peppino Di Capri e i Rockers furono primo gruppo spalla, nella celeberrima tournée italiana dei “Fab Four”. E proprio a lui dobbiamo un bellissimo reportage filmato del concerto di Milano, al Vigorelli: un film in superotto, a colori, letteralmente rubato da Peppino, appostato in platea, con George Harrison che gli fa segno di “No, non si può” col sorriso sulle labbra.

D’altra parte Peppino di Capri era cresciuto col mito di Buddy Holly e a lui si ispirava il suo look. E in quel maledetto giorno del ’59, “The day the music died” in cui l’aereo di Buddy, insieme a Ritchie Valenz e The Big Bopper, si schiantò a terra, Peppino aveva deciso che sarebbe stato lui, a sostituirlo. E secondo me ci è anche riuscito.