(di Alfonso Romeo) Il giovane regista Francesco Carnesecchi porta sugli schermi La partita, film interpretato da un cast di livello che comprende, fra gli altri, Francesco Pannofino, Alberto Di Stasio, Giorgio Colangeli e Michele Fiore.
Di genere drammatico/noir, il film affronta con decisione ed estetica suburbana una storia all’apparenza semplice, ma che si snoda in maniera labirintica tra le mille contraddizioni della realtà capitolina.
Diverse storie si uniscono su un campo da calcio della periferia romana, tra cui quella di Italo (Di Stasio), il presidente dello Sporting che rischia tutto ciò che ha per una scommessa, quella di Mister Bulla (Pannofino), allenatore della squadra che ha collezionato più sconfitte che trofei, e Antonio (Fiore), capitano deciso a diventare un calciatore famoso.
Tutti questi segmenti umani s’intrecceranno durante i momenti cruciali e ansiogeni della partita, in un susseguirsi di scene che faranno capire come la sfida non sia solo quella giocata con il pallone, ma con la vita.
Con un approccio che sembra prendere in prestito molti elementi-chiave del neorealismo, Carnesecchi ha deciso di puntare al lancio cinematografico, come lungometraggio, di un progetto inizialmente destinato a essere (e restare) un corto. Ma il potenziale della storia è stato dovutamente rifiltrato e ampliato con un corredo significativo di apporti alla sceneggiatura, grazie ai quali i personaggi iniziali hanno fatto da ponte per i nuovi.
La regia di Carnesecchi è attenta, scrupolosa, indaga fino in fondo sugli stati emotivi dei suoi personaggi, soffermandosi spesso, e a lungo, su particolari all’apparenza di scarso rilievo.
Ma ciò che colpisce maggiormente de La Partita è l’antitesi tra un mondo rozzo e sgangherato come quello di uno sporting club calcistico della periferia e l’approccio stilistico sofisticato e curato nei minimi particolari, con il risultato (probabilmente era proprio questo l’obiettivo) di nobilitare ogni personaggio, pur rimanendo consapevoli dei suoi errori e contraddizioni.
La partita si dimostra quindi un’ottima sorpresa di quel cinema più squisitamente underground, un cinema dove i giovani dalle idee valide non mancano, ma, nella realtà nostrana, spesso fanno fatica a emergere.