Approfittiamo del fatto che il 1989 non si sia rivelato un’annata musicale memorabile per dare finalmente spazio a una canzone italiana e alla straordinaria, italianissima donna che l’ha portata a un successo di pubblico e di critica strameritato. Non per il tritatutto Sanremo, però, che relegò la formidabile Mia Martini al nono posto, nella classifica del famigerato Festival: orribile, ma ci siamo abituati, perciò niente drammi. Domenica Bertè, lo ricordo come fosse ieri, urlò tutta la rabbia che la divorava, per motivi tanto dolorosi e intollerabili che manco mi va di citarli, eseguendo Almeno tu nell’universo, pezzo composto nel lontano (anche allora) 1972 da Bruno Lauzi (testo) e Maurizio Fabrizio (musica). La classe, come sappiamo, non è acqua. E da questo trio di alta qualità non poteva che nascere il capolavoro che tutti abbiamo amato. La voce aspra e il volto bello e sofferente di Mia bucarono il video come un moderno urlo di Munch. Non muto, certo, ma altrettanto disperato, il grido di chi non vuole arrendersi alla banalità di un sentimento incolore e  pretende sincerità, almeno nell’amore e nell’importanza delle sue parole.

Che le parole fossero importanti ce lo disse, incisivamente, anche Nanni Moretti nel film che abbiamo scelto per quest’annata tutta italiana. Palombella Rossa ci racconta, nell’anno della caduta del muro di Berlino, che la crisi dei comunisti di casa nostra, iniziata allora, dura da almeno trent’anni e non accenna a risolversi. Ma ci dice anche che al tempo si poteva parlare di politica con ironia, divertendosi anche un po’. Mescolando il pubblico col privato senza troppi patemi d’animo: lo sport e il partito, il dottor Zivago e il pasticciere trotzkista, l’imbarazzo del politico rimasto senza parole (importanti, naturalmente) davanti a domande impervie come montagne e la relativa fuga nel surreale come extrema ratio: una salvifica canzone di Battiato, un’infinita partita di pallanuoto, la nostalgia del bambino per i pomeriggi di maggio. All’epoca Nanni Moretti era considerato un comico con, al massimo, qualche ambizione intellettuale; lo affermo con certezza perché ricordo bene questa definizione, sentita più di una volta personalmente, espressa con nonchalance da esponenti del ceto medio assai poco attenti allo spirito del tempo. Si sbagliavano di grosso, e sono contento di avere, qui, l’occasione per dirglielo.