(di Alfonso Romeo) The Farewell – Una bugia buona è l’ultimo film di Lulu Wang, con Awkwafina e Shuzhen Zhao, in uscita al cinema il 24 dicembre. Dopo aver ammaliato il pubblico del Sundance Film Festival e le platee americane, The Farewell è stato strenuamente conteso da Netflix, Fox Searchlight e Amazon Prime Video. Alla fine, ha avuto la meglio la A24, società numero uno nel settore della cinematografia americana indipendente, che lo ha acquistato per un valore di sette milioni di dollari.
La storia narrata è quella di Billi (Awkwafina), nata in Cina e cresciuta negli Stati Uniti, che torna a malincuore a Changchum dopo aver scoperto una terribile notizia: nella sua famiglia tutti sanno che alla sua amata nonna restano solo poche settimane di vita, ma hanno deciso di tenere nascosta la verità alla diretta interessata. Una volta tornata nella terra della propria infanzia, Billi cerca di convincere i propri parenti a informare la nonna dello stadio avanzato della malattia; alla fine, lei per prima si convincerà dell’importanza di evitarle questo peso, prendendo parte ai preparativi di un matrimonio in famiglia organizzato solo per avere un motivo (non sospetto agli occhi dell’anziana donna) per stare tutti insieme. Billi così facendo ritroverà l’amore per le proprie origini, e soprattutto il giusto valore da dare al tempo e ai ricordi.
L’elemento più interessante di The Farewell è come Lulu Wang abbia deciso di utilizzare una semplice vicenda familiare per illustrare, induttivamente, le differenze e le asimmetrie tra la società americana (o più generalmente occidentale) e quella orientale; quest’ultima attribuisce alla vecchiaia un valore completamente differente e anche sovversivo, tendente a sottolineare come, superata una certa età, gli anni siano un patrimonio incommensurabile da onorare, piuttosto che nascondere o di cui vergognarsi. Nella vecchiaia non c’è spazio per la tristezza. La bravissima Shuzhen Zhao incarna alla perfezione una concezione del genere, con un personaggio che sprigiona ironica vitalità e un certo status di ritrovata pace nei confronti della vita. Proprio per questo il resto della famiglia ha deciso di tenerle nascosta la morte imminente: per la cultura orientale la vita è un bene così grande che non va contaminata dal pensiero della fine.
Con picchi volutamente kitsch e sopra le righe (come non amare la scena del matrimonio?) la regia, sapiente, sarcastica ma anche delicata, riesce a incastrare magistralmente i tasselli di questo racconto così complesso nella sua linearità, dove ogni inquadratura ha un proprio significato ben preciso.