(di Alfonso Romeo) Louise May Alcott nel 1868 pubblicava Piccole Donne, un romanzo che non l’avrebbe più abbandonata, facendola figurare tra gli scrittori americani più popolari e indimenticati. Quello che oggi potrebbe apparire come un normale successo, all’epoca era da definirsi un fenomeno quantomeno bizzarro: una donna, non sposata e senza figli, che lavora e riesce a vivere del proprio lavoro. Questo spirito d’indipendenza femminile accompagna il libro pienamente, sebbene resti di sottofondo, quasi come compromesso per la pubblicazione stessa (l’autore sarà anche stato una donna, ma le case editrici erano completamente in mano agli uomini). Il romanzo presenta dei personaggi femminili che, come da consuetudine per la letteratura propria del periodo storico, sostanzialmente o si sposano o muoiono. Ciò nonostante le sorelle Jo, Amy, Beth e Meg restano fortemente caratterizzate da uno spirito piuttosto anacronistico: dopo che il padre è chiamato al fronte per la guerra civile americana, si ritrovano a vivere con la madre fondando un vero e proprio nucleo matriarcale. Questo è stato il motivo di principale interesse per la regista Greta Gerwig nel proporre una trasposizione cinematografica che arriva nelle sale italiane dal 9 gennaio.

Dopo il suo successo con Lady Bird (2017), non si poteva certo pensare che riportare sul grande schermo Piccole Donne fosse un’idea rivoluzionaria: il romanzo nel corso del tempo è stato proposto da due film muti, innumerevoli miniserie televisive e diverse pellicole per il cinema, tra le quali le più fortunate sono state dirette da George Cukor nel 1933 e da Gillian Armstrong nel 1994. Insomma, per rendere appetibile un prodotto del genere si rendeva necessario apportare dei cambiamenti. Il primo escamotage è stato formare un cast alla moda, che stuzzicasse il pubblico: ed ecco Emma Watson, Louis Garrel, Saoirse Ronan, Meryl Streep, l’ormai onnipresente Timothée Chalamet e la bravissima Laura Dern.
Se stile registico, fotografia e colonna sonora restano perfettamente aderenti alle regole del film in costume, la Gerwig vince la sfida grazie a una narrazione completamente rivoluzionaria rispetto alle versioni precedenti, preferendo partire da quando le protagoniste sono ormai adulte e avviate nella vita per poi procedere a ritroso, tramite flashback che presentano un continuo contrasto con il presente. In questo modo, a risaltare non è la linearità del racconto ma il suo tema portante, cioè il desiderio di libertà intellettuale ed economica delle protagoniste, in un’epoca pervasa dal codice etico vittoriano che vedeva in un buon matrimonio l’unica svolta di vita per una donna. Ma le ambizioni di Jo e delle sue sorelle non hanno nulla a che vedere con un buon partito disponibile. Perché le ragazze avevano già capito ciò che, ancora oggi, non viene colto all’unanimità: la ricchezza, ci vuol ricordare il Piccole Donne della Gerwig, non è e non sarà mai (davvero) uno status sessualmente trasmissibile. Molto meglio tentare quella strada chiamata talento.