(di Eugenia Chierico) Richiami e reinterpretazioni: l’evocativo mondo musicale della serie tv di Roberta Torre raccontato dalla stessa regista e dall’editore Franco Bixio.

L’artista non può essere il lacchè della cronaca”, disse Picasso quando dipinse Guernica, quindi io prenderei in prestito questa frase per descrivere ciò che è per me il cinema». Ancora una volta, col suo debutto nel mondo delle serie tv con Extravergine, comedy prodotta da Fox Networks Group Italy con Publispei di Verdiana Bixio, Roberta Torre è riuscita ad ammaliare il pubblico. La regista di Tano da morire, Sud Side Stori, Riccardo va all’inferno racconta la sua prima esperienza in una serie, regalandoci il suo sguardo surreale sul cinema e sul mondo circostante. In Extravergine la regia è protagonista nella narrazione della storia e nella caratterizzazione dei personaggi., tra musiche avvolgenti, caleidoscopi, bolle di sapone e colori caldi, il tutto ambientato in una Milano vintage, vista attraverso gli occhi della protagonista Dafne Amoroso (Lodovica Comello). «Una Alice nel Paese delle Meraviglie del 2020», dice la Torre. Dafne è una giornalista nerd con una rubrica sui libri che, alla soglia dei trent’anni, è ancora vergine. Il suo destino cambia quando, per un malinteso, viene nominata sex columnist del giornale.

La filmografia di Roberta Torre ruota intorno a tematiche d’impegno – seppur filtrate da un linguaggio immaginifico e musicale – con dialoghi e riverberi frutto di una costante ricerca che ogni volta cambia punto di vista e contesto. Ogni suo lungometraggio è collegato da un filo rosso, ma in che modo s’inserisce in questo percorso Extravergine? «Ho sempre lavorato su soggetti miei. In questo caso è stato un lavoro su commissione. All’inizio ho avuto delle perplessità, ma il soggetto mi è piaciuto molto, mi è sembrata una bella opportunità lavorare sulla storia di questa ragazza vergine catapultata in un mondo che presuppone una conoscenza assoluta delle dinamiche del sesso e invece si ritrova con un corpo e soprattutto uno sguardo da vergine. Ho cercato di far mio questo progetto, sebbene ci siano indicazioni che partono dalla rete: in questo senso non potrei definirla una serie di Roberta Torre, è una serie con la regia di Roberta Torre».

I personaggi si muovono all’interno di questo mondo onirico e surreale, in una Milano filtrata dagli occhi della protagonista. Quanto Dafne ha condizionato il suo modo di vedere la città e viceversa

«Certamente molto, ho il ricordo della Milano della mia giovinezza. È la città dove sono nata ma che ho lasciato da tempo. Nelle sue trasformazioni recenti l’ho vista cambiata in positivo e dunque anche visivamente mi piaceva molto lavorare su questo binomio antico-moderno. Milano è una città che si apre all’Europa in maniera evidente: mi piaceva lavorare in una direzione che non fosse classica. Però è sempre un po’ lo sguardo di Dafne che ho cercato di mantenere per parlare della città, che si muove e colora attraverso i suoi occhi».

Nei suoi precedenti film è molto forte il realismo dei personaggi. Qui la protagonista è anacronistica, vive all’interno di un proprio microcosmo.

«Sono sì sempre partita da personaggi realistici, però rileggendoli con una lente straniante. A Dafne ho dato la forma di personaggio fumettistico. Quello che potevo fare per andare nella direzione che la scrittura mi indicava era quello di lavorare su questa bidimensionalità visiva. Invece di farne un difetto ho cercato di renderlo un genere».

Primissimi piani, sguardi in macchina, filtri e sovrapposizioni, colori e montaggio che ricordano il cinema di Meliés, Jeunet o Gondry. Che relazione c’è con questo cinema?

«Gondry è uno dei miei autori preferiti. E anche Jacques Tati . I video di Björk sono dei riferimenti forti per me, dove la musica non è sempre spalmata nelle scene ma diventa corpo stesso della scena».

I suoi lavori sono frutto di un’attenta osservazione del mondo, il racconto dal particolare va all’universale. Dove si dirige il cinema del futuro?

«Credo che in Italia ci sia una sorta di equivoco sul realismo. Noi, figli del neorealismo, sembra che abbiamo necessità di protrarre a oltranza l’etichetta, che non sempre aiuta l’immaginario, diventando un modo di raccontare che spesso si appiattisce. Detto questo, abbiamo visto Joker che traduce con un linguaggio artistico lo smarrimento».

Extravergine è una serie al femminile: si può parlare di differenza di genere nel cinema?

«Sicuramente è una commedia dove è molto presente l’elemento femminile. In Italia sta diventando più comune la figura femminile nel cinema, si stanno aprendo sguardi che non sono solo maschili perché è un mondo che ha bisogno di occhi femminili. In generale, e credo che il cinema ne abbia più che mai bisogno, ci tengo che arrivi questo momento. Io da tempo ne sono all’interno e credo le giovani registe abbiano delle strade un po’ più semplici rispetto al passato».

La musica nei suoi lavori, ha un ruolo fondamentale: i toni onirici sono sottolineati dai suoni di Federico Novelli e dai brani messi a disposizione dalla Cinevox Record. In che modo sono state scelte le musiche?

«È vero: la musica per me è un altro piano narrativo Abbiamo scelto musiche che non fossero complementari, ma che in qualche modo narrassero: la musica accompagna le giornate di Dafne. E abbiamo avuto la fortuna di avere a disposizione il catalogo del Gruppo Editoriale Bixio, che ha tanti brani dei principali compositori, italiani e stranieri. Io ero affascinata soprattutto dagli italiani, che conoscevo attraverso i film. La qualità dei suoni ci ha permesso di creare questo mondo in cui la musica diventa punteggiatura drammaturgica. Assieme alla montatrice Cristina Sardo e ai responsabili dell’archivio Bixio abbiamo fatto un grande lavoro di selezione, scegliendo musiche che evocano un immaginario italiano».

Dunque la musica in Extravergine si fa voce narrante. E Franco Bixio, presidente dell’omonimo gruppo editoriale – una delle più importanti case editrici musicali italiane che vanta nel proprio catalogo diecimila titoli –  ci spiega il lavoro che c’è dietro alla scelta delle colonne sonore, rivelandoci quali elementi sono stati privilegiati nella scelta dei brani per Extravergine.

«Per prima cosa va tenuto conto delle richieste di mood fatte dal regista. In questo caso, grazie alla sensibilità di Roberta Torre, il lavoro di ricerca è stato semplificato. È anche importante avere la possibilità di fare scelte che a volte possono sembrare azzardate. Questo si può fare quando la ricerca viene fatta da consulenti, oltre che esperti, anche giovani che sanno quindi scegliere brani che possano essere graditi allo spettatore giovane, come in Extravergine. E noi questi consulenti giovani ed esperti li abbiamo»

Per la scelta dei brani, è stato privilegiato l’aspetto evocativo.

«Ci si è mossi in ambito jazz che ha insito il senso dell’immaginario. Altro elemento interessante è stata la vicinanza con le musiche di Novelli che hanno fatto da contraltare realistico alle altre musiche e accompagnato la scelta “colorata” della fiction».

Nella selezione la produzione si è avvalsa del lavoro di digitalizzazione del Gruppo Bixio. Cosa si augura per il futuro della musica per le immagini?

«Negli anni scorsi è stato fatto un lavoro certosino su tutto il catalogo. Il passaggio al digitale ha imposto e facilitato processi innovativi per una catalogazione molto definita dei brani attraverso nuovi algoritmi. Oltre a questo l’intervento umano ci ha permesso di raffinare le indicazioni su ogni brano. Abbiamo affidato a una musicista l’ascolto per catalogazioni particolari, considerando in anticipo il possibile utilizzo. Questo ha permesso di interrogare la piattaforma non solo per mood, organici, tempo, ma anche per contesti o sensazioni».