Nell’anno di poca grazia 1996 a casa mia campeggiavano solo due poster. Anzi, due manifesti originali, quelli che usavano i cinema e che, a Roma, si vendevano in una specie di spaccio clandestino dalle parti della stazione Termini. Uno di questi due manifesti, posizionato snobbissimamente nella mia toilette, era quello di Trainspotting, opera seminale di Danny Boyle su assist del romanziere Irvine Welsh. Gioventù bruciata in Scozia, stavolta però l’insoddisfazione che fu di James Dean e Sal Mineo ha un nome preciso: eroina. Il gruppetto dei fuori di testa indecisi tra uscire dal tunnel della droga o arredarlo ha fatto la storia del cinema, su tutti l’esordiente Ewan McGregor, qui Mark Renton voce narrante, finito poi malinconicamente a Hollywood ad accumulare milioni brandendo spade laser. Ma Begbie, l’incazzoso Begbie disegnato dal superbo Robert Carlyle che fine ha fatto? E Sick Boy, il biondo ossessionato da Sean Connery, e Spud, il tenero Spud, dove siete ora? E chi lo sa. L’unica che non potrà più raccontarci niente è la piccola, innocente Dawn, vittima della droga senza aver potuto nemmeno scegliere. Renton invece finisce per scegliere, coerentemente con McGregor che lo impersona, la strada della vita normale, grazie alla sòla (bidone) rifilata agli amici. E lo ammette, Renton, con orgoglio e disperazione sostenuti dalla struggente Born Slippy degli Underworld, nel memorabile monologo finale, che ci stese tutti prima di uscire dal cinema a discuterne, un po’ smarriti e decisamente groggy.

Dimenticavo. L’altro manifesto, sistemato a mo’ di testiera della vasca da bagno, era quello de I Soliti Sospetti. Ma ne abbiamo già parlato.

L’altra faccia del ’96 la troviamo in casa nostra. Anzi a casa del maestro Franco Battiato, che non può dirsi davvero italiano e forse nemmeno totalmente terrestre. La Cura è una canzone magnifica, la rappresentazione del più puro desiderio che alberga nell’eterno femminino quando pensa a ciò che anelerebbe dal suo partner ideale. Concetto qui espresso da Battiato con parole e musica sublimi, tanto da rendere fatalmente le nostre pallide figure di uomini, mariti e amanti misere e inadeguate di fronte a un simile, inarrivabile modello.

Ma lo ringraziamo lo stesso, il maestro, ricordandolo nell’aula magna di Architettura, nel ’77, sogguardato e quasi irriso dai feroci ribelli d’antan, che lo avevano invitato a suonare Pollution senza conoscere un beneamato piffero della sua filosofia in perenne evoluzione. Ma per fortuna uno non vale uno e il maestro giganteggia, oggi, nella storia della canzone italiana. A differenza di tante squallide figure che attraversano il Paese proprio adesso.