(di Alfonso Romeo) Qualcosa di meraviglioso è il nuovo film di Pierre-François Martin-Laval, con Isabel Nanty, Gérard Depardieu e Sarah Touffic Othman-Schmitt, in uscita in Italia il 5 dicembre.
Basata su un vero caso di cronaca del 2012, che fece il giro di notiziari e quotidiani di tutto il mondo, l’opera è stata sceneggiata dallo stesso regista e parla di uno dei (purtroppo) pochi casi a lieto fine nell’ambito dell’immigrazione clandestina in Francia.
Tutto inizia in Bangladesh, dove Nura e suo figlio Fahim, un ragazzino molto più sveglio di ogni suo coetaneo, sono costretti ad abbandonare il resto della famiglia per cercare fortuna a Parigi, anche in seguito a minacce di morte ricevute dal piccolo. Fahim però ha una peculiarità molto strana per un ragazzo della sua età ed estrazione sociale: è un campione di scacchi. Così, o almeno crede, il padre che lo porterà in Francia proprio per conoscere un grande maestro che possa farlo diventare famoso. Arrivati nella Ville Lumière tuttavia i problemi non tardano a presentarsi: Nura non riesce a trovare lavoro, i soldi non bastano e la procedura burocratica per ottenere il permesso di soggiorno diventa più complicata del previsto. Nel frattempo Fahim è accolto con affetto dalla scuola di scacchi cui si iscrive, soprattutto dalla direttrice Mathilde. Con l’apparentemente burbero maestro, Sylvain, ci vorrà invece un po’ più di tempo. Ma ben presto, tutti si mobiliteranno per aiutare il piccolo Fahim e suo padre a ottenere ciò per cui hanno lottato.
Il film, come puntualizzato in precedenza, segue una vicenda realmente accaduta senza mai però, visto il tema trattato, sfociare nel pietismo o, ancor peggio, nel finto buonismo. Racconta con occhio asettico passaggi spesso crudi e decisamente poco umani, lasciando l’eventuale giudizio agli spettatori. La forza di Qualcosa di meraviglioso è proprio il punto di vista da cui si sceglie di narrare la storia, cioè quello di un bambino, che nonostante l’età è ben consapevole della crudeltà del mondo che lo circonda. Non è un caso poi che il film sia stato realizzato e proposto dopo ben sette anni dal caso di cronaca. Risulta inevitabile chiedersi se oggi, nel 2019, una storia del genere possa ripetersi. Fahim e la sua famiglia nel 2012 hanno trovato accoglienza e attenzione da parte delle istituzioni europee; quante possibilità avrebbero avuto adesso, in una macchina politica che nel frattempo ha trovato in storie come la sua (e moltissime altre simili) il nuovo nemico contro cui scagliarsi?