In genere un regista oggi, se viene intervistato sulla propria carriera, ci tiene molto a dire “Faccio cinema… da non confondere con la tv” . Sì, perché negli anni fare regia tv, seduto al mixer della sala regia, dicendo “Pronta la 1…UNO!, 2 dammi il totale…DUE! ecc, è nella maggior parte dei casi nei programmi di oggi, soprattutto un fatto tecnico, posizionare le telecamere, quattro (cinque, o sei nelle grandi produzioni) è il più del lavoro, dopo, il compito del regista è quello di scegliere la migliore inquadratura proposta dai vari cameramen…e In Onda!

Ma una volta non era così o perlomeno con Antonello Falqui non era così. Lui era un regista con tutti i crismi, era un creativo (diremmo oggi), era anche l’autore del programma, spesso anche dei testi, lui sceglieva i protagonisti e gli ospiti. Lui creava uno spettacolo per il video cercando di differenziarlo a ogni puntata, nonostante, per scelta, i suoi studi avessero quasi sempre come scenografia soltanto grandi tende e fondali a tinta unica.

Antonello Falqui caposcuola di altri nomi gloriosi della nostra Tv  di intrattenimento di prima serata, come Romolo Siena, Piero Turchetti, Enzo Trapani, Lina Wertmuller e pochi altri, e in tempi più recenti, fuori dal coro, Gianni Boncompagni.

Di Antonello Falqui si ricordano i grandi show di prima serata (prima e “unica” perché all’inizio c’era una sola rete) come Studio Uno, con i più grandi protagonisti del mondo dello spettacolo, di lui si ricorda al centro dello schermo, senza scenografie o fronzoli che distraessero lo spettatore dalla concentrazione assoluta sui protagonisti della serata, che erano Mina, le gemelle Kessler, Alberto Lupo, Nino Manfredi, Domenico Modugno, Gianni Morandi, Totò, Lucio Battisti, Walter Chiari, Paolo Panelli…

Ho avuto il piacere, giovanissimo, di intervistarlo, ma non solo: l’ho visto all’opera e l’ho apprezzato “a vita”, nel dirigere, imponendola per più serate, con coraggio e “rischio”, alle rigide dirigenze della Rai bernabeiana di allora, una Gabriella Ferri giudicata da tutti trasgressiva, un po’ “stracciona”, un po’ hippy, decisamente folk, portatrice di un genere che era l’opposto dei big sanremesi da prima serata e da milioni di copie ai quali la Rai aveva abituato il suo pubblico di allora. E Antonello Falqui si impose e vinse una grande scommessa, facendo diventare personaggio, “nonostante” la qualità e lo spessore del folk o della musica realmente popolare di cui era portatrice la grande Gabriella, con lo show Dove sta Zazà. E ho visto molto da vicino per un’intera settimana Falqui, il geniale regista (il terribile, per sfaticati e arruffoni), che faceva provare per cinque giorni di seguito le due ore che poi sarebbero andate in onda, a tutti, orchestra, ballerini (Don Lurio, Paul Stephen, Gloria Paul e star simili) e soprattutto ai quei big dei quali non aveva alcuna soggezione, anzi, che massacrava di prove e ripetizioni fin quando non li riteneva “perfetti”. E io c’ero, non come giornalista, anche se già scrivevo di musica e tv, ma quella volta come produttore di un gruppo che in tv nessuno pensava che sarebbe mai potuto stare in un programma di prima serata. Nessuno, tranne Antonello Falqui, al quale li “presentò” proprio Gabriella Ferri, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Conosciuti in quegli anni (1973) solo alle feste dell’Unità, nei teatrini d’essai e nei circuiti veramente alternativi. E a lui piacque moltissimo una sorta di provino di un paio di minuti ai quali, incuriosito, li sottopose. Piacque subito quella Tammurriata Nera che poi avrebbe fatto diventare celebri in tutto il mondo  i componenti della NCCP con Roberto De Simone, Peppe Barra, Fausta Vetere, Gianni Mauriello, Eugenio Bennato, Patrizio Trampetti e Nunzio Areni. Gli piacque al punto di far interagire nella presentazione la stessa Gabriella Ferri. Ricordo bene due giorni interi di prove per un solo brano e lui a guardare e scegliere telecamera per telecamera, inquadratura per inquadratura, zoommate e carrellate, in studio accanto ai cameramen che lo adoravano come un dio, prima di salire in regia e dare l’ok.

Anche io ero di fatto debuttante come produttore della NCCP e quella lezione di professionalità mi è rimasta nel sangue. Ho sempre tenuto presente, quando è stato possibile, quella lezione di rigore, di stile e di estrema professionalità. Onore al grande Antonello Falqui, che per fortuna ha vissuto  certamente a lungo ma che, certamente, tutti noi avemmo voluto non se ne andasse mai.