Lo ammetto: per arrivare a comprendere tutte le sfumature della trama di quel capolavoro del 1995 che è stato I Soliti Sospetti ho dovuto vederlo tre volte. E ogni volta non solo aggiungevo piccoli tasselli al puzzle dell’incredibile plot, ma godevo nel gustare ancora, insaziabilmente, battute già conosciute e digerite nelle precedenti visioni. Un pugno di attori all’apice della loro carriera, come Gabriel Byrne e Chazz Palminteri, o all’inizio di una cavalcata tumultuosa, come Benicio Del Toro e Kevin Spacey, il più grande di tutti, cui auguriamo una riabilitazione completa e motivata, per il bene di tutti noi umili spettatori.

Un film di acqua e di fuoco, un gioiello raro dal finale mitologico, dove fino all’ultimo non ti è dato sapere se hai puntato sul cavallo giusto, o se il personaggio per cui hai deciso di fare il tifo e provare simpatia non si rivelerà improvvisamente il male assoluto, il demonio degno del nome che fa tremare i polsi a tutta Los Angeles: Keyser Söze.

Ancora oggi si sente pronunciare questo nome, magari tra amici cinefili o in qualche riunione di cinquantenni e oltre, buttato lì da qualcuno per gelare l’atmosfera diventata troppo alcolica. In quel momento, per un attimo, tutti gli occhi si abbassano e i risolini spavaldi che inevitabilmente ne seguono hanno il sapore, inquieto e vagamente nervoso, di un esorcismo complice.

Volete ridere per sdrammatizzare un po’? Beh, pare che l’immagine ridanciana che accompagna questo articolo sia stata lasciata nel film dal regista Bryan Singer per puro scherzo: Benicio Del Toro soffriva in quel momento di incontenibile meteorismo e i truci colleghi non riuscivano a trattenere una comprensibile ilarità. 

 

Il tappeto sonoro di quell’anno, il ’95, deve molto a un personaggio schizzato fuori a sorpresa da una scatola magica trovata chissà dove in Canada. Alanis Morissette, ve lo garantisco avendola vista in concerto per ben due volte, era un concentrato di energia pura, sfrontatezza, sesso e sentimenti ancestrali, turbinanti sul palco insieme alla sua chioma fuori moda, come un derviscio sgraziato alla ricerca di tutto meno che dell’assoluto.

Jagged Little Pill è un capolavoro d’epoca, un mucchio selvaggio di canzoni memorabili, tra cui l’oltraggiosa You Oughta Know, trasudante odio per l’ex, fedifrago e traditore, crocefisso a tempo di rock come solo la ragazzaccia  Alanis, sguardo obliquo e bocca esagerata, poteva fare. La sua musica, ricordo, si spandeva dalla tv di una camera d’albergo a Copenaghen: fuori la temperatura era a -5° ma all’interno faceva molto, molto caldo.