Eccoci nel 1984, ma stavolta non per parlare di Orwell e del Grande Fratello.
Oggi si parla di Luna.
Sono cinquant’anni esatti che siamo andati lassù, e mi sembra giusto ricordare quei momenti. Credo che, volendo essere sinceri fino in fondo rasentando il cinismo e la blasfemia, ciò che rimase più impresso nelle italiche memorie fu il bisticcio tra Tito Stagno e Ruggero Orlando sul reale momento del tocco fatale tra il Lem e il suolo lunare, ma soprassediamo.
Nel 1984 in radio passava spesso una canzone sorprendente, che parlava di Luna. Rafa Sanchez, cantante della poco gloriosa band new wave spagnola La Union, modulava un verso davvero affascinante:
“Hay, la luna llena sobre París ha transformado en hombre a Denis…”
In pochi allora sapevano che il testo della canzone era tratto da “Le loup garou” un racconto originalissimo di Boris Vian, che narrava il dramma di Denis, lupo trasformato in uomo in seguito al morso del Mago del Siam. Il rovesciamento di ruoli più inaspettato e spiazzante forse anche per la Luna stessa, costretta ad ascoltare i lamenti del povero Denis.
…Sorprendido espiando,
el lobo escapa aullando y
es mordido
por el Mago de Siam…
Canzone bellissima e video all’altezza della situazione. Se non lo conoscete fate un salto su YouTube e fatemi sapere.
Tra gli innumerevoli film che hanno tratto ispirazione dal pallido satellite, ho scelto il numero uno.
L’immagine della smorfia dolente, sbigottita, quasi grottesca che fa la Luna mentre viene colpita nell’occhio dal gigantesco proiettile che l’uomo le ha sparato contro, nel film in diciassette quadri di Georges Méliès datato 1902 è, magari confusamente, nella memoria collettiva, patrimonio condiviso da tutti.
Viaggio nella Luna, primo capolavoro di fantascienza mai prodotto, ispirato da H.G. Wells, Jules Verne e perfino dal re dell’operetta Jacques Offenbach, ha una carica visionaria ed emotiva che i pretenziosi film sci-fi di oggi se la sognano, credetemi.
Proprio nel 1984 ebbi la malaugurata idea, trovandomi al Disneyland di Los Angeles, di voler sperimentare il mio coraggio affrontando l’attrazione chiamata “Space Mountain”. Una montagna russa infernale, tutta dentro una cupola buia che simulava, per l’appunto, il viaggio di Verne dalla Terra alla Luna. Sparato da un cannone, trascorrevi attimi di puro terrore a velocità folle, in attesa del probabile schianto. Chiusi gli occhi, lo ammetto. Ma ricorderò per tutta la vita il faccione della Luna di Méliès che si manifestava chissà come, crucciata, nell’unico momento di tregua della dannata sarabanda.
All’uscita, foto dimostrativa del forzato sulla navicella, occhi sbarrati, per i parenti eventualmente increduli.
Tre dollari.