(di Francesco Ferri) Miglior attore protagonista a Rami Malek, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, miglior sonoro: queste le statuette agli Oscar 2019 per Bohemian Rhapsody, il film, già leggendario, di Bryan Singer che racconta le cronache della band inglese attraverso le avventure del suo frontman. Una vera e propria biografia musicale che mette in luce il talento, il carisma, l’egocentrismo di uno degli artisti più controversi del secolo scorso. La velocità con la quale la band si trova e arriva al successo è riflessa sullo schermo: da un momento all’altro, in un paio d’anni, i quattro si incontrano ed escono con la Emi con il loro primo album.
La naturale confidenza con il palcoscenico, il talento e la vita fuori dalle righe del protagonista sono i temi al centro della pellicola, che ripercorre la vita della band dalla formazione nei primi anni ’70 a Londra fino al Live Aid di Wembley del 1985.
Acme della narrazione, la riproduzione fedelissima dei loro live show in tutto il mondo, tra Europa, Asia e America. La vita sessuale frenetica di Freddy e i suoi eccessi lo porteranno a perdere inizialmente i suoi affetti più cari: dal padre, alla sua prima compagna Mary Austin (impersonata da Lucy Boynton), fino alla band.
Verso la fine del film e del suo racconto il cantante rivelerà al suo gruppo la malattia che lo porterà alla morte. Anche se, a onor di cronaca, l’Aids gli venne scoperto dopo il Live Aid, e non prima, come si racconta nel film. Una sequenza narrativa che serve al regista, in realtà, per raccontare come, attraverso la paura e la solitudine, prima, i consigli delle persone che gli volevano bene, poi, Freddy si accorgerà di essere sfruttato da personaggi senza scrupoli con l’unico obiettivo di fare leva sul suo successo e la sua fama.
Realmente pazzesca l’interpretazione dei membri della band: un perfetto mix di somiglianza e interpretazione di attori che ne hanno compreso anche le espressioni e la fisicità sul palco e fuori, come Gwilym Lee che ha recitato nei panni del chitarrista capellone Bryan May con la sua serietà e pacatezza o il batterista Robert Taylor rappresentato dalla somiglianza di Ben Hardy. Forse troppo volutamente accentuata la dentatura di Rami Malek nelle espressioni di Mercury, ma l’interpretazione ne scema l’evidenza.
Al botteghino Bohemian Rhapsody ha incassato circa 900 milioni di dollari.
Lavoro facile ma non scontato per John Ottman, che ha curato la colonna sonora inserendo 22 brani all’interno delle scene, includendo ovviamente Somebody To Love, We Will Rock You, I Want To Break Free e Radio GaGa, tra fasi di registrazione e concerti riproposti durante lo storytelling.
Forse poco condivisibile la scelta della regia di tralasciare il graduale coinvolgimento iniziale tra i componenti del gruppo, rendendo tutto molto fulmineo e dando per scontata la conoscenza da parte del pubblico.
Al di là delle critiche, questo film rimane una fantastica rappresentazione drammarico-musicale della vicenda di uno dei gruppi che hanno scritto la storia, non solo del rock, ma sicuramente della musica mondiale.