(di Francesco Ferri) Abbiamo fatto due chiacchiere con Giovanni Bedeschi, regista di Pane dal cielo, social movie che tratta la storia di un bambino invisibile accudito da due senzatetto prima e da tutti i nostri cuori poi. Protagonisti Sergio Leone (Annibale) e Donatella Bartoli (Lilli).
Giovanni, come ti sei avvicinato a questo mondo e da cosa nasce quest’idea?
L’idea nasce quando ho cominciato a collaborare con la mensa dell’Opera di San Francesco. Ho imparato a conoscere questi uomini e donne che si sono persi per un evento che ha scombussolato fortemente la loro vita. Queste realtà ci spaventano, perché abbiamo paura di trovarci in quelle condizioni in futuro. Quindi qui nasce il desiderio e la necessità di raccontare questo mondo con un film sincero che insegnasse a guardare il prossimo e la vita attraverso gli occhi del cuore, come insegnava San Francesco. Parlai di tutto ciò a Sergio Rodriguez, autore e amico, che dopo qualche mese tornò da me con questa figura del bambino invisibile. Dopo la stesura dell’idea iniziale e i vari racconti, abbiamo dato il tutto in mano allo sceneggiatore Franco Di Pietro che abilmente l’ha fatto diventare un film. Le scene sono frutto anche delle testimonianze che ho raccolto ascoltando le persone in mensa: l’uomo pestato, la ragazza ferma immobile al centro di una piazza trafficata di auto che viene completamente ignorata dal mondo.
Perché Pane dal cielo?
Il titolo è stato creato dal soggettista, evoca ovviamente pensieri biblici, di un dono che arriva dall’alto; il sottotitolo, invece, “La favola del bambino invisibile”, sta a indicare che il film riguarda i senza dimora ma vuole essere raccontato attraverso una favola.
Come è nata questa collaborazione con l’Opera di San Francesco?
Anni fa vidi una pubblicità dell’Opera che incitava a essere egoisti. Chiaramente era una provocazione pensata come chiamata al volontariato: date una mano per ricevere in cambio insegnamenti di vita.
Cosa avete ricevuto umanamente da questa esperienza?
Io con dodici anni di volontariato ho imparato tantissimo e non ne posso fare a meno. Nonostante il lavoro e gli impegni, cerco di esserci sempre. Ha tirato fuori da me aspetti e sentimenti che non pensavo di avere e che ora sto continuamente alimentando. Il film in realtà è il risultato finale delle mie esperienze, del mio desiderio di documentare e mettere in azione quest’emozione di amare e di guardare la realtà con gli occhi del cuore. Ciò che mi ha alimentato di più è stato vedere l’emozione dei senza dimora presenti alle riprese. Dalla produzione sicuramente abbiamo ricevuto tantissimo affetto, dai produttori, gli attori, gli sceneggiatori, i truccatori, gli stylist. Ci hanno aiutato moltissimo i ragazzi della Fondazione Progetto Arca Onlus, che hanno portato senzatetto di tutta Milano che hanno interagito con quella parte del nostro staff che non aveva mai avuto contatti con questa realtà. Ciò sicuramente è servito per coinvolgere entrambe le parti nel progetto e per far prendere maggiore coscienza a chi avrebbe dovuto scrivere, girare, interpretare le scene.
Complimenti per il premio di miglior regista e miglior film al Festival Internazionale dei Film Cattolici. Te lo aspettavi?
Non sono troppo affezionato ai premi, sicuramente servono per la promozione e per far parlare del film. Per questo devo ringraziare Vincenzo Mosca di TVCO che abbiamo incontrato a Cannes al Mercato del Film durante il Festival. Dopo aver visto al volo il nostro film ci ha chiamati per incontrarci immediatamente. Si è innamorato del progetto e ci ha promesso il suo aiuto nella distribuzione. Siamo già usciti in Polonia, tra poco in Brasile ed in Slovacchia. Ringraziamo anche Liana Marabini, direttrice del International Catholic Film Festival Mirabile Dictu, che ha accettato il film all’ultimo minuto all’interno dei partecipanti.
Sicuramente è un film attuale, contestualizzato alla situazione sociale di oggi: quali sono i messaggi e l’obiettivo della pellicola?
Sì, purtroppo è un film che rispecchia molto l’aumento della povertà degli ultimi anni. I dati mostrano che sono sempre di più le persone che chiedono aiuto per affrontare difficoltà economiche sempre maggiori. Uno degli obiettivi del film è anche ridare dignità a quelle persone che pensano di averla persa per sempre, con tutte le loro storie passate. Ma in realtà il film non ha la pretesa di darti una risposta, ma di regalarti una domanda. Quindi ognuno tornerà a casa con una visione diversa della vita, arrivando alle proprie conclusioni. Spero che il film tocchi il cuore delle persone aiutandole ad aprire gli occhi in questo momento dove si predica la divisione, l’odio, l’egoismo, cercando di investire maggiormente sul welfare e il sociale.
Come inserite questo nuovo tipo di lungometraggio? Magari come proposta di un nuovo tipo di cinema sociale?
Assolutamente. Questi cosiddetti “social movies” sono fondamentali per mettere in luce i problemi dei nostri giorni. Ho visto tempo fa Welcome, film francese ambientato in una Calais che rappresenta l’ostacolo da valicare per raggiungere l’Inghilterra, dove un ragazzo curdo cerca di attraversare il canale per raggiungere la sua amata, da poco trasferita con la famiglia a Londra. Questo lungometraggio mi ha regalato moltissima ispirazione per la direzione e la scrittura delle scene di Pane dal cielo.
Con che intensità avete sentito l’appoggio e la risposta del pubblico finora?
Tempo fa abbiamo creato un teaser di 7-8 minuti, che ci è servito per coinvolgere Paola Pitagora e ottenere il patrocinio del Comune di Milano. Poi abbiamo iniziato una campagna social di crowdfunding che ha avuto moltissimo successo, quindi il supporto del pubblico è stato fondamentale proprio per la produzione del lungometraggio. Anche i tecnici e gli attori hanno sposato la causa, regalandomi a sprazzi giornate gratuite di lavoro. Questi gesti mi hanno regalato una motivazione infinita.
È stato difficile proporre un film con questo taglio?
Sì, c’è voluto veramente tantissimo coraggio, perché in Italia vendere un film di questo genere è pressoché impossibile. Mi ero prefissato come obiettivo di vita professionale quello di produrre un’idea come questa e non sarei potuto morire contento se non la avessi finita.