(di Francesco Ferri) In occasione dell’edizione milanese della Festa del Cinema Bulgaro (13-15 novembre, Anteo Palazzo del Cinema), abbiamo scambiato due chiacchiere con Aleksandar Aleksiev, attore celebre in patria ma anche molto attivo sul mercato internazionale. Alex era ovviamente a Milano per presentare il capolavoro del quale è protagonista, Възвишение (Elevazione), lungometraggio che racconta le scorribande di un gruppo di briganti che si sono uniti agli eserciti di rivoluzione per la liberazione della Bulgaria dall’impero Ottomano.

Alex, Dalla Bulgaria a New York, passando dal Regno Unito. Ora di nuovo in Bulgaria. Raccontaci di te.

Partiamo da quando avevo 16 anni. Il mio sogno da ragazzino era una vita a New York. Non gli States, non Los Angeles: New York. Dovevo farcela. Già vivevo negli Usa, in Illinois, dove ho frequentato la high schola. Appena diplomato ho cercato e ottenuto di entrare a una scuola di recitazione, la Adelphi, a Long Island, con una borsa di studio indispensabile per poter studiare negli Stati Uniti, specialmente per un ragazzino bulgaro. Adoro gli odori e i colori della Grande mela, c’è molto di essa in me e sono certo di aver dato qualcosa a lei. Dopo aver terminato la scuola di recitazione sono tornato in Europa, mi sono trasferito a Londra, dove attualmente hanno sede i miei interessi principali: il mio agente risiede lì, ho un altro paio di progetti a Londra e così via. Ho avuto una piccola parte in una serie della Bbc, piccoli film qua e là, collaborato con Kenneth Branagh, Kevin Costner e Keira Knightley con un’intensa presenza sul set, anche se come figura minore. Un’ottima esperienza. Sono stato protagonista di una serie famosissima in Bulgaria per due stagioni e mezzo, ho ottenuto una nomination agli European Academy Award per gli short film.

Com’è stato tornare dal sogno NY alle radici?

Bello, fa parte della crescita di una persona. Qui sono più vicino a casa, alla famiglia. In più, come attore dell’Est Europa ho più possibilità di ottenere buoni ruoli in film stranieri qui in Europa che negli Usa.

Cosa vedi per il futuro del cinema in Europa?

Spero in una coproduzione. Ma non parlo di cooperazione finanziaria, bensì culturale. Sogno festival di cinema che hanno come oggetto prodotti misti tra nazioni. Si otterrebbe molto di più da un’unione reale per un risorgimento artistico che semplicemente da accordi cartacei fra le produzioni e le distribuzioni. Ho collaborato di recente a un film americano, The Outpost, decisamente un film pieno di stereotipi, mainstream, in cui l’Army è impegnata nella guerra in Afghanistan. Eppure la presenza di attori provenienti da tutte le parti del mondo è stata molto stimolante e ha dato bellissimi segnali per un futuro nella cooperazione culturale.

Cosa pensi dell’evoluzione digitale del cinema e del suo inesorabile viaggio verso la Virtual Reality?

Non sono un grande esperto in materia. In realtà amo l’idea tradizionale di cinema. Già vedere una multisala all’interno di giganti centri commerciali mi crea disagio. Il cinema deve essere un qualcosa che si incrocia camminando per la strada. Ma qui stiamo parlando di nuovi progetti, che sicuramente sono già iniziati e se ben gestiti sicuramente troveranno una propria audience.