(di Renato Marengo) La neo vicepresidente della Fondazione Cinema per Roma ripercorre la sua carriera nel giornalismo cinematografico di cui è da anni una delle massimi rappresentanti.

Un grande in bocca al lupo a Laura Delli Colli, la piccola Lauretta che ho conosciuto quando aveva 18 anni, per questa sua nuova avventura alla Festa del Cinema di Roma. È cresciuta Laura, ne ha fatta di strada. Un’amicizia, la nostra, che è continuata negli anni, intrecciandosi anche con simpatici avvenimenti che a Laura stessa piace raccontare oggi che mio figlio Davide è diventato un regista con numerose esperienze professionali alle spalle. Uno dei primi libri scritti per il cinema da Laura lo colpì particolarrnente. Anni dopo, quando la rivide in occasione di una nomination di un suo corto ai Nastri d’Argento, le confidò che, già appassionato di cinema, ebbe uno stimolo decisivo a fare il regista, proprio leggendo un libro di Laura. È una sorta di missione quella di Laura, che ha caratterizzato tutta la sua carriera, il suo desiderio di aiutare i giovani a coltivare la passione per questa grande arte delle immagini.

Con la vicepresidenza della Fondazione Cinema per Roma Laura Delli Colli è arrivata ai vertici della cinematografia italiana. La sua carriera, dei cui esordi sono stato testimone, è un esempio per tanti giovani che vorrebbero cominciare ad affacciarsi in questo settore così pieno di fascino. E il suo è un esempio di come, facendo una vera gavetta sin da giovanissima e con costanza, dedizione, pazienza e tappe lunghe, spesso difficili ma senza mollare mai, si possa arrivare, senza sponsorizzazioni né tantomeno compromessi, a livelli professionali sempre più prestigiosi.

Io ricordo una ragazzina poco più che diciottenne che incontravo alle conferenze stampa della Rai, che iniziava a collaborare con l’Adnkronos nella redazione spettacoli e che spesso scriveva articoli su artisti che in quegli anni producevo, come Edoardo Bennato, Tony Esposito o la Nuova Compagnia di Canto Popolare. «E ricordi bene – interviene lei – infatti non ho cominciato subito a scrivere di cinema, ho iniziato per caso e curiosità occupandomi, agli inizi genericamente, di spettacolo e tv. A 18 anni mi ero appena iscritta all’università, entrando a tempo pieno nel giornalismo. All’inizio, come molti di noi, da abusiva. Un inizio fatto di curiosità e passione immediata, non pagata o con qualche irrisorio rimborso, sempre pensando ovviamente, una volta inseritami, di riuscire a lavorare prima o poi nel cinema, essendo nata in una famiglia  cinematografica, con mio padre Franco e mio zio Tonino, entrambi direttori della fotografia, noti e stimati professionisti, fondamentali collaboratori di tanti grandi registi».

Beh, appartengono alla storia del cinema, ricordiamolo che lavoravano con nomi come Fellini, Pasolini, Avati, con le più importanti case di produzione  internazionali negli anni del boom di Cinecittà nel mondo.

«Il mio incontro col giornalismo, lavoro che è stato alla base anche di tutta la mia attività futura nel mondo del cinema, è stato casuale. Qualcuno mi aiutò a entrare in un’area di volontariato e diventai collaboratrice professionale dell’Adnkronos. dal 1972 al 1980. Sono poi diventata professionista, proprio in quell’agenzia, nell’80, e contemporaneamente iniziai a collaborare con Repubblica sin  dal numero zero. Ricordo con emozione il giorno in cui Tullio Kezich, mentre mi occupavo molto di Rai, abituato a vedermi passare ogni giorno nei locali delle conferenze stampa e delle anteprime, scrivendo anche di politica Rai oltre che di programmi, incuriosito da questa ragazzina sempre presente a ogni incontro o anteprima, decise di propormi per un primo colloquio a Repubblica. Appena arrivata mi trovai faccia a faccia con Corrado Augias, ovviamente per me mitico, che mi dava del lei. Certamente intenerito di fronte a una collaboratrice così giovane, mi propose di cominciare a provare con una collaborazione quotidiana, un lavoro da supervisor. Risposi ingenuamente “Ma io faccio già il mio lavoro, per l’agenzia”, e Augias, carinamente, insistette dicendomi: “Ma proverebbe a scrivere  anche per noi?”. Chiesi subito l‘autorizzazione all’Adnkronos, dove stavo facendo il praticantato. Mi dissero ok e cominciai con due inchieste di prova, una sul mondo dei cinegiornali e una sul doppiaggio. Ma avvenne una cosa che rischiò di bloccare la mia collaborazione sul nascere: quando tornai a Repubblica con i miei servizi faticosamente elaborati, letti e riletti, Augias proprio in quei giorni era stato fatto corrispondente negli Usa… A darmi la, per me tragica, notizia fu Orazio Gavioli, responsabile degli spettacoli, che però, vista la mia delusione, si mostrò molto comprensivo e visto che, anche se ero ancora molto giovane, già lavoravo per l’agenzia, mi propose di continuare a frequentare la redazione. Ho cominciato così a lavorare con Gavioli, che sarà quindi il mio capo redattore agli spettacoli per tutti gli anni che sono stata a Repubblica. Ricordo con tenerezza quando uscii dall’Adnkronos, dove mi ero formata e maturata e mi trovai in meno di un anno a lavorare al quarto piano del palazzo dove poi avrei abitato per un bel periodo. Agli inizi scrivevo ancora molto di Rai e di politica aziendale, lavorando anche genericamente negli spettacoli, ma poi, inevitabilmente, il sangue cinematografico di famiglia venne fuori. Avevo vissuto in una famiglia dove si mangiava pane e cinema e cominciai a occuparmi di politica cinematografica. Fui ovviamente agevolata dal fatto di conoscere personalmente, ripeto per “motivi di famiglia”, tanti protagonisti di quel settore – registi, produttori, attori, musicisti, scenografi, sceneggiatori – e questa familiarizzazione mi aiutò certamente, facendomi entrare sempre meglio nel settore cinematografico e questo fatto ovviamente mi agevolò molto nella mia carriera a Repubblica».

Poi che è successo? Il quotidiano ti “è stato stretto”? Come mai sei passata a Panorama?

«Ma sai, dopo anni di agenzia e di quotidiano ti si presenta l’opportunità di passare al settimanale. Beh, si tratta certamente di un miglioramento, sia nella possibilità di essere più selettivi e di poter approfondire, che di lavorare con meno ansie e con la possibilità di avere un po’ di tempo in più a disposizione per gli approfondimenti, ma anche per potermi dedicare a un’altra mia vocazione: lavorare per il Sindacato Giornalisti Cinematografici».

Raccontaci del sindacato.

«Aveva appena lasciato la presidenza Ernesto Baldo, c’erano poi Mario Di Francesco, Ettore Nuara, io entrai in quel gruppo di colleghi più attivi e mi candidai a svolgere qualche attività organizzativa. All’inizio entrai come tesoriere collaborando a riorganizzare il sindacato, poi mi son data da fare. Con passione e assoluta dedizione, da tesoriere sono arrivata alla carica di presidente, e quindi trovandomi alla guida dei Nastri d’Argento. Premio di cui in casa, sin da piccola, sentivo parlare come di un vero e proprio Oscar italiano. Ricordo ancora con emozione e terrore la prima volta che ebbi tra le mani il premio da consegnare in diretta in tv. Fu quasi per caso. C’era, come ogni anno, la serata finale a Taormina. Aspettavamo Vincenzo Mollica, che era il tradizionale presentatore del premio su Raiuno, ma lo avevano presentato anche Pippo Baudo e simili grossi calibri. Alle cinque del pomeriggio, Vincenzo Mollica mi chiamò da Roma dicendomi che non ce l’avrebbe fatta a venire a Taormina per un impegno con il Tg1 e mi disse: “Non è un problema così grave: la premiazione la puoi tranquillamente condurre tu”».

Da allora il volto dei Nastri, ma anche un po’ quello del giornalismo cinematografico nelle manifestazioni ufficiali, è quello di Laura Delli Colli che, oltre alla vicepresidenza della Festa del Cinema è a capo del premio per la Migliore Colonna sonora a Venezia. Insomma Nastri, Venezia, Roma: quella piccola, tenace collaboratrice agli spettacoli ha raggiunto le vette più alte nel mondo della cinematografia italiana. Quale segno lascerà quest’anno Laura Delli Colli alla Festa di Roma?

«Ho seguito, ovviamente, le linee tracciate da Piera Detassis. Di mio ci ho messo una attenzione sempre maggiore per il cinema italiano e per i giovani. Sarà una Festa del Cinema “elegante, raffinata e insieme pop e, soprattutto, ricca di qualità”».