(di Claudia D’Agnone) Se il mondo moderno rifugge la solitudine, non è raro che spesso le migliori opere letterarie siano frutto di momenti di volontario isolamento. È il caso di una delle maggiori poetesse americane, Emily Dickinson, ritratta nel biopic A Quiet Passion di Terence Davies, regista e sceneggiatore inglese che ama confrontarsi con le biografie.
Autore unico della sceneggiatura, come è sua abitudine, Davies tratteggia con sensibilità ed eleganza la vita di un’artista che ottenne una fama mondiale postuma e trascorse gran parte della sua esistenza da reclusa. Da ragazza ribelle che rifiuta l’educazione religiosa impartitale nel collegio a personalità sfaccettata e sensibile, con un attaccamento morboso alla sua casa natale e ai suoi affetti e dalle opinioni forti e salde sulla morale, Dickinson viene seguita nei vari passaggi della sua vita, fino al giorno della morte, avvenuta all’età di 55 anni.
Emma Bell, interprete dell’indomita Emily giovane, lascia troppo presto il ruolo a Cynthia Nixon, che i più ricorderanno per il personaggio di Miranda in Sex & the City, attrice di innata bravura, che risulta forzata nel ruolo di una Emily più matura ma ancora troppo ragazza.
I chiaroscuri della vita della Dickinson, permeata da una profonda tristezza, ma anche da una passione per la bellezza, vengono sottolineati da una fotografia scura e dalla voce fuori campo che cita i suoi stessi versi. Ma non c’è solo solitudine e malinconia, la pellicola non manca di spunti arguti e battute che portano spesso la platea a ridere sonoramente (non è un mistero che la Dickinson amasse l’ironia).
La vita della Dickinson, priva di eventi sconvolgenti, scorre con una cadenzata routine, che rende difficile e probabilmente poco interessante la trasposizione cinematografica. I luoghi della sua esistenza sono, infatti, molto limitati e lo diventano ancor di più quando la scrittrice decide di ritirarsi a vita privata nelle sue stanze.
Il biopic risulta un’opera riuscita, per quanto parziale, adatta a chi conosce e ama già la Dickinson. Se viene, chiaramente, citata la sua passione per la poesia, non è sufficientemente sottolineato l’aspetto emotivo e catartico che essa assume, permettendole di riversare e incanalare le intense emozioni che l’artista è incapace di mascherare nella vita sociale (comunque ridotta al minimo). E se l’argomento sembra essere piuttosto circoscritto all’amore o alla morte, sappiamo che nei suoi scritti la poetessa celebrò la vita e le bellezze della natura e parlò, seppur in quella che ella stessa definì una maniera “obliqua”, della Guerra di Secessione che coinvolgeva l’America in quegli anni.
Poco approfondito il rapporto con Susan, moglie di suo fratello Austin, con cui la Dickinson intratteneva un rapporto epistolare fitto e a cui affidò gran parte dei suoi scritti (più di 1700 poesie e un gran numero di lettere), successivamente pubblicati grazie all’aiuto della sorella Vinnie, nella pellicola una formidabile Jennifer Ehle, non nuova ai ruoli in costume (Orgoglio e Pregiudizio– miniserie Bbc).
Nonostante qualche neo, il film, recitato magistralmente, è una imperdibile occasione di riflessione sulla vita della Dickinson, un eccezionale racconto di eterea ribellione (Emily decise di vestirsi solo di bianco per sottolineare la purezza), di tristezza, bellezza, dolore e “quieta passione”.