(di Claudia D’Agnone) Petit Paysan – un eroe singolare è il primo lungometraggio del giovane regista francese Hubert Charuel, vincitore di ben tre premi César. Il film è singolare, proprio come l’aggettivo utilizzato nel sottotitolo italiano, e racconta la vita di Pierre (Swann Arlaud), contadino trentacinquenne francese, alle redini della fattoria di famiglia.
Pierre trascorre le sue giornate dedicandosi totalmente alle sue mucche da latte, coadiuvato dalla sorella veterinaria. Sollecito e attento al bestiame, si accorge subito della malattia di una delle sue vacche e, diffidando della tranquillità di sua sorella, comincia a covare il sospetto che si tratti di febbre emorragica, epidemia letale in rapida diffusione in Francia. Quando il suo sospetto si rivela fondato, per salvaguardare il resto della mandria (il bestiame restante, infatti, viene ucciso in via precauzionale) e assicurarsi ancora un futuro lavorativo, Pierre uccide l’animale infetto e, nella notte, lo guarda bruciare.
Il pathos e la tensione espresse dal costante nervosismo del protagonista coinvolgono anche i movimenti di macchina, che all’inizio del film ci mostrano, lente, la nascita di un nuovo vitello, e poi diventano sempre più rapidi, ad aumentare la tensione nello spettatore.
Un thriller rurale, particolare, dall’incerta sorte per i produttori, che hanno spesso mosso la critica al regista di aver scelto un soggetto, le mucche, poco accattivante. La decisione di Charuel è partita, però, da lontano, dalle sue stesse origini: nato in una fattoria, è stato il primo a rifiutare il mondo georgico per dedicarsi al cinema e non nega di aver provato anche un senso di imbarazzo nel dover ammettere le sue radici a scuola di regia.
L’ispirazione per la trama è merito di sua madre (che nel film interpreta l’ispettrice sanitaria), la quale, durante il periodo dell’epidemia della mucca pazza, affermò:«Se uccidono le mie vacche, mi suicido!».
Anche il protagonista della pellicola sottolineerà spesso sia a parole che a livello espressivo il senso di smarrimento per la perdita del gregge.
Oltre a raccontare la vita agricola, nella prima mezz’ora quasi con intenti documentaristici, Charuel ci mostra il risvolto della medaglia degli interventi sanitari dovuti, il rischio di perdere tutto, di attendere un indennizzo che nella migliore delle ipotesi non arriverà prima di 4-5 anni.
«Ho voluto girare un film che parla della famiglia, del rapporto del protagonista con i genitori, con la sorella, ma anche con le mucche – dice il regista – e ho deciso anche di raccontare un mondo poco conosciuto e molto ghettizzato, quello dei contadini. Un giovane che sceglie di fare il contadino non è per forza incolto, ma anche possedendo la giusta passione, non riceve gli aiuti economici necessari che lo incoraggino a scegliere quella professione. E la paura di non farcela è sempre dietro l’angolo in una società che punta a una sempre maggior produzione a minor prezzo».
Dal 22 marzo al cinema, Petit paysan – Un eroe singolare è uno dei film europei rivelazione della stagione, che ci riavvicina al mondo naturale e ci trascina nelle angosciose pieghe dei problemi di una realtà mal gestita a livello europeo, che da risorsa può trasformarsi in cappio al collo di chi decide di dedicarvisi.