(di Patrizia Tagliamonte) “Hai vinto ancora, amico mio Sabotatore. Non ci sarà nessun libro. Solo un file pdf nel computer, nascosto tra mille altre cose inutili”, scrive Emilio. E invece no, alla faccia del Sabotatore, quel file destinato alla muffa è uscito dal computer ed è diventato libro, e che libro. Ne parliamo con l’autore, Giorgio Cavagnaro, architetto, giornalista, scrittore di racconti brevi e ora in libreria col suo primo romanzo, Il Sabotatore, edito da Città del Sole Edizioni.

È nota l’importanza di una buona entrata in scena, e Il Sabotatore ha avuto proprio una bella entrata a effetto nel mondo della letteratura… La presentazione alla Casa delle Letterature, a Roma, è stata un successo, direi. È così? Raccontaci com’è andata…

C’era tanta gente, in effetti. Più di quella che mi aspettavo, confesso. Anzi, la notte prima della presentazione ho avuto l’incubo che attanaglia soprattutto i romani, consapevoli della propria inaffidabilità nel rispettare gli appuntamenti: sala vuota, una pila di libri da vendere, relatori imbarazzati, attrice imbronciata e, naturalmente, autore, cioè io, nel panico. Invece sono stati bravi.

La copertina del tuo libro è molto bella ed evocativa, ci dici come nasce e a cosa rimanda?

Devi sapere che ho una figlia artista, che si chiama Flaminia. La stella danzante del libro, sarebbe. Spulciando tra i suoi disegni belli e terribili ho visto immediatamente Emilio, il protagonista del romanzo, materializzarsi in quel volto allucinato, tenero e beffardo insieme.

Senza spoilerare, due parole sulla trama…

Emilio Garboli ha sessant’anni e lo ritengono matto da legare. Lui però scappa dalla clinica e si aggira per Roma, alla ricerca dei suoi ricordi e delle sue ossessioni. Aiutato, per così dire, da un personaggio misterioso che sembra conoscerlo alla perfezione… Non chiedermi se è autobiografico perché poi dovrei risponderti di sì.

Architetto, giornalista, scrittore, tre anime perfettamente fuse o ce n’è una che prevale sulle altre?

L’architetto l’ho sempre odiato. Per liberarmene ho cominciato, a un certo punto della mia vita in cui non si capiva più cosa stesse succedendo, a scrivere come un forsennato. Sono diventato giornalista e poi, finalmente, scrittore. O almeno, così dicono.

La scrittura dinamica e serrata, priva di funambolismi stilistici, viene dal tuo essere un giornalista?

Sì, direi di sì. Fondamentale l’esperienza ormai annosa alla Rivista Intelligente di Giovanna Nuvoletti. Mi ha insegnato la scrittura moderna, quella che nasce dall’esigenza di non perdere mai l’attenzione del lettore: giocarsi tutto in mille, millecinquecento battute. Pensa che ho anche scritto una raccolta di racconti brevissimi, ancora inedita, che si chiama Romanzi Express.

Nelle pagine del Sabotatore c’è molta musica. Qual’è la colonna sonora della tua quotidianità? Oltre la tastiera del tuo computer, suoni qualche altro strumento?

La musica, il rock in particolare, è il linguaggio che unisce indissolubilmente la mia generazione, senza confini di nazionalità. Mi fa sempre impressione, nelle occasioni più impensate, trovarmi a parlare dei Genesis, o dei Beatles, con l’amministratore delegato Tizio  o col notaio Sempronio, in grisaglia e cravatta regimental. L’atmosfera si ammorbidisce e tutto diventa più facile. Una magia. Suono la chitarra e il piano. Non bene, ma sono un juke box umano. Alle feste, quando ancora ci andavo, mi facevano fare mattina. “Suonare ti tocca, per tutta la vita e ti piace lasciarti ascoltare…”cantava De Andrè.

Fabrizi, la Pitagora, Blasetti, Goldfinger…sono alcuni dei rimandi al cinema. Che tipo di spettatore sei, come scegli i film da vedere? E in che misura credi che il cinema abbia influito sulla tua scrittura?

Il cinema, grande amore il cinema. Non ho un genere prediletto, a parte l’avversione per le cialtronate esagerate. So a memoria i capolavori della commedia all’italiana, una stagione irripetibile. Senza Il Sorpasso forse Il Sabotatore non sarebbe nato, o comunque sarebbe stato un romanzo diverso. Adesso mi piacciono molto i piccoli film inglesi e francesi, veri eredi di quella grande lezione. Gli americani spendono un sacco di soldi per fare sempre lo stesso film. Cambia solo la scenografia, i concetti, anche piuttosto elementari, sono sempre quelli.

Il tuo romanzo ha un taglio cinematografico, usi una sorta di scrittura visiva, alcuni capitoli sembrano concepiti proprio come una sequenza cinematografica, e cinematografica è la ricostruzione delle strade, delle case, dei vestiti…Non è difficile immaginare il film che potrebbe diventare. Ora vola con la fantasia …come comporresti il cast? E a chi affideresti la regia, insomma, a chi vorresti far sapere che sei disponibile?

Eh, mi fai volare davvero adesso. Anche se qualcuno me l’ha già detta, ‘sta cosa. Mi viene in mente adesso, in diretta, un pensiero assurdo, irrealizzabile: Nanni Moretti alla regia del Sabotatore e anche nei panni di Emilio. Un sogno.

La fine del libro non è però la fine della storia…E’ previsto un sequel? La storia dell’Emilio di oggi, con più autostima (forse) e meno incasinato (forse), sarebbe ancora così interessante per i lettori?

Non credo. Emilio quello che doveva dire lo ha detto e lo mandiamo in pensione. Almeno lui, visto che per me, la pensione è un miraggio che sembra irraggiungibile.

Ho letto il tuo libro e mi è piaciuto, l’ho riletto, lo regalerò e consiglierò ai miei amici così come ora lo sto consigliando ai lettori di Cinecorriere. Io lo faccio perché l’ho trovato un romanzo piacevole e sincero, scritto da una persona piacevole e sincera. Dimmi ora tu perché i nostri lettori lo dovrebbero scegliere in libreria…

Perché, da quello che mi dicono, è un libro che tutti leggono in massimo due, tre giorni. È pieno di emozioni, di commozione ma anche divertente, forse pure profondo. Così dicono, poi non so.