L’undicesima edizione del (non)Festival cinematografico della Capitale al via giovedì 13 ottobre. Nel segno della varietà e dell’internazionalità.
«Discontinuità, varietà, qualità e internazionalità: sono queste le parole chiave della Festa del Cinema di Roma 2016», ha annunciato Antonio Monda in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’undicesima edizione della manifestazione, che si terrà presso l’Auditorium Parco della Musica e in altre sedi in città da giovedì 13 a domenica 23 ottobre.
«Discontinuità perché non si tratta di un festival tradizionale, con tanto di madrine, cerimonie e premi, eccetto quello del pubblico indetto da Bnl», ha spiegato il Direttore Artistico della Festa.
Per quanto riguarda la varietà, «si va dal cinema d’autore agli zombie», ha aggiunto ancora Monda, dai documentari alle commedie, aggiungiamo noi, come sono per esempio rispettivamente due dei film italiani presenti nella selezione ufficiale: Napoli ‘44 di Francesco Patierno, potente denuncia degli orrori delle guerre; e Maria per Roma, primo lungometraggio di Karen Di Porto sulle peripezie quotidiane di un’attrice costretta a sbarcare il lunario con lavoretti vari da un capo all’altro della città, dal giorno alla notte. Un film, quest’ultimo, che potrebbe proporsi come nuovo caso cinematografico di stagione, al pari di Lo chiamavano Jeeg Robot, presentato in anteprima lo scorso anno proprio qui all’Auditorium.
Due pellicole di qualità, come lo sono del resto tutte le altre presenti in rassegna, da Florence di Stephen Frears con Meryl Streep e Hugh Grant a Into the Inferno di Werner Herzog, da Afterimage di Andrzej Wajda a Snowden di Oliver Stone, e senza dimenticare le altre due produzioni made in Italy della selezione ufficiale, 7 minuti e Sole cuore amore.
7 minuti di Michele Placido, con un cast tutto al femminile (Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Ottavia Piccolo, ecc.), è ispirato a una storia vera. Racconta la drammatica trattativa fra le operaie di un’azienda tessile e i proprietari della fabbrica, con incursioni nelle vite private delle lavoratrici, tutte madri, mogli o figlie con i loro problemi, i loro sogni e le loro aspirazioni.
Anche in Sole cuore amore di Daniele Vicari, che torna a dirigere un film di fiction a quattro anni dal controverso Diaz, le protagoniste sono due donne. Diverse tra loro, ma in realtà due facce della stessa medaglia. L’amicizia che le unisce è quasi una sorellanza, si va a scontrare però con le difficoltà materiali che la vita pone loro davanti. Nel cast del tredicesimo film diretto da Vicari figurano, tra gli altri, Isabella Ragonese, Francesco Montanari, Eva Grieco e Giulia Anchisi.
Quarto elemento portante di questa edizione della Festa è l’internazionalità. Provengono da ben ventisei differenti nazioni le quarantacinque opere presentate nella Selezione ufficiale, nello spazio Tutti ne parlano e quelle in collaborazione con la sezione autonoma e parallela Alice nella città. Tra film e documentari sono praticamente il doppio dei lavori selezionati per l’edizione 2015.
Alle quattro parole d’ordine, se ne potrebbe aggiungere un’altra: diversità. È questo, infatti, uno dei temi ricorrenti nel panorama delle pellicole di questa edizione. «La diversità in tutte le sue sfaccettature», ha sottolineato il direttore, che con questo suo secondo anno di mandato è già al giro di boa (l’incarico dura tre anni).
Tra i film più attesi sul tema diversità c’è Moonlight di Barry Jenkins, evento d’apertura dell’undicesima edizione della Festa. Una storia di difficili relazioni umane fra le strade malfamate di Miami, dove un giovane afroamericano scopre la propria identità sessuale, con tutto ciò che ne può conseguire in un mondo chiuso e machista come quello dei marciapiedi di periferia.
C’è poi Manchester by the Sea di Kenneth Lonergan, altro film statunitense che potrebbe correre agli Oscar, incentrato sui dolorosi ricordi di un passato fatto di rinunce e allontanamenti. Nel cast Casey Affleck, Michelle Williams e Kyle Chandler.
C’è anche l’altro Affleck tra gli attori dei film in rassegna. Il maggiore dei due, Ben, è il protagonista di The Accountant, altra storia di diversità (e genialità) che parla di un matematico autistico che lavora sotto copertura come contabile per alcune delle organizzazioni criminali più pericolose del mondo.
Il lavoro (il già citato 7 minuti), la politica (Snowden e l’ampia retrospettiva su quella americana) e la Shoah sono alcuni degli altri grandi temi che saltano agli occhi scorrendo i tanti titoli della selezione.
In quest’ultimo caso, Denial di Mick Jackson con Rachel Weisz, Tom Wilkinson e Timothy Spall, ci porta al cospetto della discussa (e discutibile) figura di David Irving, storico militare che finisce al centro delle polemiche internazionali quando inizia a citare lo pseudoscientifico rapporto Leuchter come prova della falsità dell’Olocausto. Tacciato di negazionismo dalla storica Deborah Lipstadt nel suo libro Denying the Holocaust, Irving cita in giudizio la studiosa per diffamazione e poiché l’onere della prova secondo la legge britannica spetta all’accusato, la Lipstadt è costretta a dimostrare con il supporto dei suoi avvocati che uno degli eventi più tragici della storia dell’umanità non è un’invenzione. Un film che farà discutere e che riporta all’attenzione di tutti una pagina dolorissima della storia.
La stessa pagina viene posta sotto la lente dell’ironia dal documentario The Last Laugh dell’americano Ferne Perlstein. Il film nasce dalla premessa che la tragedia della Shoah non debba essere assolutamente raccontata con i toni della commedia. Ma a parte illustri esempi di pellicole come La vita è bella di Roberto Benigni e Train de vie di Radu Mihahileanu, senza dimenticare la commedia satirica antinazista degli anni ‘40 Vogliamo vivere! di Ernst Lubitsch, il film di Perlstein ricorda che persino le vittime dei campi di concentramento usavano l’umorismo per resistere. Quindi perché non lasciarsi andare all’ultima risata?
Fra le tante cinematografie presenti alla Festa di Roma di quest’anno, meritano particolare attenzione quella messicana, con tre titoli nella selezione ufficiale, e quella peruviana-colombiana, che in rassegna ne ha due. «Assieme al cinema rumeno – a detta di Monda – questi sono tra i più vitali dell’intero pianeta».
Dal Messico arrivano 7.19AM di Jorge Michael Grau, su un terribile terremoto che ha colpito Città del Messico il 19 settembre 1985; La caja vacia di Claudia Sainte-Luce sul rapporto difficile e ritrovato tra un padre e una figlia; e Todo lo demas di Natalia Almada, singolare eplorazione della vita interiore di un’anziana dipendente statale.
La mujer del animal di Victor Gaviria è un film colombiano sulla drammatica parabola di una diciottenne di Medellin costretta a sposare un uomo adulto, noto a tutti come “l’animale”.
La ultima tarde di Joel Calero, coprodotto da Perù e Colombia, riflette sul tramonto degli ideali rivoluzionari, attraverso l’incontro pre-separazione fra due coniugi ex militanti della sinistra radicale.
Infine, la musica, un po’ ovunque fra le pieghe dell’undicesima edizione della Festa. Nella selezione ufficiale un titolo spicca su tutti: The Rolling Stones Olé Olé Olé!: a Trip Across Latin America, un documentario imperdibile di Paul Dugdale sul tour di Mick Jagger e soci attraverso dieci città latino-americane nel 2016.
Che la festa cominci!