Il neoregista Ewan McGregor parla della sua prima esperienza dietro alla macchina da presa: la trasposizione cinematografica di un capolavoro della letteratura americana firmato dal Premio Pulitzer Philip Roth.

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Per il suo debutto dietro alla macchina da presa, Ewan McGregor non poteva scegliere prova più difficile. Il libro American Pastoral di Philip Roth da cui è tratto il suo film omonimo, uno degli eventi di preapertura dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è uno dei romanzi più importanti e profondi della letteratura americana contemporanea, con il quale lo scrittore di Newark ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa del 1998.

«Il libro non lo avevo letto, ma la sceneggiatura mi ha fatto piangere. Sono padre di quattro figlie e questa storia mi ha sopraffatto», ha affermato l’attore scozzese alla conferenza stampa italiana di presentazione della pellicola, dove era accompagnato anche da Jennifer Connelly, protagonista con lui del film assieme a Dakota Fanning.

«Girare questo film stando dietro alla macchina da presa è un’esperienza che mi ha cambiato la vita – ha detto McGregor -. Mi ha entusiasmato lavorare con gli attori e avere conversazioni creative con lo sceneggiatore. Ho scoperto il dietro le quinte, avuto contatti con figure che già conoscevo – scenografo, direttore della fotografia, costumista – vedendole però in altro modo, mediando e risolvendo i problemi. Ho capito così che buona parte del lavoro del regista è gestionale: gestire le paure degli altri. Come essere umano è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere e sentire più adulto, più maturo».

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American Pastoral è ambientato negli anni Sessanta e racconta la storia di Seymour Levov, per tutti “lo Svedese”, un ragazzo ebreo del New Jersey con un’esistenza apparentemente perfetta. Seymour, infatti, può dire che dalla vita ha avuto tutto: bellezza, successo nello sport  (baseball, basket e football) e professionale (con la fabbrica di guanti Newark Maid), una moglie bellissima (Jennifer Connelly), ex Miss New Jersey, e una bambina a lungo desiderata, Merry (interpretata a sedici anni da Dakota Fanning). L’unica crepa nel mondo armonioso dello Svedese è la pesante balbuzie di cui soffre la sua bambina, sintomo di un malessere che va ben oltre la difficoltà nel parlare. Mentre infuria la guerra del Vietnam e i disordini razziali mettono Newark a ferro e fuoco, Merry, ormai adolescente, diventa sempre più ribelle e si radicalizza abbracciando un’organizzazione politica di estrema sinistra. La lineare esistenza di Levov subisce poi un colpo irreversibile il giorno in cui Merry mette una bomba nell’ufficio postale locale, uccidendo una persona e svanendo nel nulla. Come è possibile che una tragedia simile sia accaduta proprio a lui, rappresentazione vivente del Sogno americano, si chiede lo Svedese? Tormentandosi con le domande su dove ha sbagliato, Seymour per cinque anni non smette di cercare la figlia per riportarla a casa e prova comunque a tenere unita la famiglia, nonostante i tradimenti e la depressione della moglie. Finché la sua vita e quella  delle persone a lui care non vanno completamente in pezzi.

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