Riflessioni sul futuro del cinema e della tv con la presidente Publispei, che produce il film di Giuseppe Piccioni assieme a Matteo Levi e Rai Cinema.
Settembre è un mese di importanti debutti per la Publispei. Dopo il ritorno su Raiuno – da mercoledì 7 – di “Un medico in famiglia”, serie di punta della celebre società di produzione televisiva giunta alla sua decima stagione, a Venezia è stato presentato in concorso – giovedì 8 – “Questi giorni“. Il lungometraggio di Giuseppe Piccioni – interpretato da un quartetto di interessanti giovani attrici (Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani, Caterina Le Caselle) – è nelle sale da giovedì 15 settembre.
Con Verdiana Bixio, presidente Publispei, che produce il film con 11 Marzo Film di Matteo Levi e Rai Cinema parliamo dell’esperienza veneziana della pellicola.
Verdiana, è stata una bella soddisfazione la partecipazione alla Mostra. Come è nata questa avventura?
L’obiettivo è sempre stato quello di fare un buon film e l’invito a Venezia è stato un grande privilegio.
Nel film, un racconto di formazione, ci sono tutte attrici emergenti. La Publispei continua quindi a puntare sui giovani?
Assolutamente sì! Le nostre quattro protagoniste sono portatrici sane di bellezza, freschezza, allegria, ma anche di dubbi, preoccupazioni. Questo significa grande verità! Giuseppe Piccioni ha scelto quattro tipi molto differenti di ragazza, che però, magicamente, convergono in un’unica donna complessa e sfaccettata.
Giuseppe Piccioni è un cineasta esperto che sa mantenere ancora uno sguardo giovane sulla realtà.
Quando Matteo Levi mi ha proposto di co-produrlo con la sua società e Rai Cinema mi sono tuffata con entusiasmo in questa fantastica avventura e Piccioni era già nel progetto. Questo ha inciso sulla mia scelta di aderire all’invito. Ho subito amato il suo punto di vista del mondo femminile. Ho amato il tipo di madre descritta e fantasticamente interpretata da Margherita Buy, che ha saputo dare ad Adria forza e fragilità, frivolezza e verità. E ancora le quattro ragazze, altra generazione e un punto di vista ancora inedito. Non quattro giovani secondo un uomo adulto, ma un autore che ci mostra il mondo che esse portano, fatto di momenti di risate senza un vero perché, cameratismo, disaccordo nelle scelte, verità nascoste e poi scoperte. Le ragazze che tutte le donne sono state.
Lei ha più volte parlato di “sperimentazione di nuovi generi e formati (factual, life style, ecc.)”. Come procede questa ricerca?
Con la costruzione di progetti più transmediali. Abbiamo prodotto con la Rai due webseries che abbiamo collegato narrativamente alla serie “madre” È arrivata la felicità. Il pubblico si frammenta e cerca contenuti in altri spazi? Ecco, noi pensiamo che, raccontando attraverso canali e linguaggi differenti storie che aggiungono contenuto al racconto principale, riusciamo a offrire una nuova esperienza, dando una sensazione di completezza al progetto stesso. Siamo quindi al punto di concepire i progetti in maniera transmediale fin dall’inizio. Un lavoro stimolante per me, per il nostro reparto creativo ed editoriale ma anche per gli sceneggiatori e i registi.
Intanto è partita Un medico in famiglia, una delle fiction più longeve della Tv italiana (18 anni). Contenta di aver portato avanti con successo una delle grandi intuizioni di suo padre Carlo?
Orgogliosa, soprattutto, perché, a dispetto di quanto si possa immaginare, Un medico in famiglia è una delle serie più difficili da scrivere. La semplicità che la caratterizza è la nostra croce e delizia.
A Taormina, lei ha annunciato House Husbands, serie “dramedy” per Mediaset. A che punto è la lavorazione, quando andrà in onda?
Siamo in post-produzione, il titolo italiano sarà Amore pensaci tu. Andrà in onda nel 2017.
Altri progetti in cantiere?
Stiamo vagliando sceneggiature e soggetti cinematografici. Per la tv stiamo procedendo con la scrittura di una serie in sei puntate dal titolo Tutto un altro mondo. Magari ci risentiremo per parlarne più in là?